Triangolo, Spazio bianco, Trapezio - Strutture geometriche del management scientifico

Abbiamo visto come il manager utilitarista abbia evoluto la classica struttura piramidale del management scientifico in una strana forma composita: un triangolo, dato dal vertice e da pochi eletti; una base trapezoidale indistinta; uno spazio bianco che evita il contatto tra le due figure precedenti.

Oggi vediamo le caratteristiche di queste 3 figure del management scientifico moderno all’opera.

Il triangolo: questo livello presenta sia caratteristiche comuni a tutte le impostazioni aziendali, di qualsiasi dimensione e industry, che caratteristiche specifiche dell’impostazione utilitarista. Concentriamoci su queste ultime, ricordando che parliamo di un qualcosa che riguarda lo 0,000003% della popolazione aziendale.

  • La prima specificità è la seguente: tutti i componenti sono di netta matrice utilitarista e presentano - le attitudini manageriali che abbiamo visto nel precedente articolo e sulle quali non mi soffermerò qui. -
  • La seconda specificità riguarda i criteri di scelta: i criteri per la scelta dei componenti sono differenti a seconda delle aree (commerciale, governance, Digital/IT). Non ci sarebbe nulla di strano, se non fosse per il modello  adottato.
    • Area commerciale: criterio classico. I componenti devono avere una forte presa sulla rete di vendita e una forte business vision. Quindi: basso turnover e provenienza dalla stessa industry e in quasi sempre – incredibile dictu – dalla stessa azienda. 
    • Area di governance: criterio conservativo. Questa area in realtà è vista come un peso da sopportare per il semplice fatto che bisogna averla per legge o normative di settore. I componenti devono esserne consapevoli, perché a fronte di questo presupposto devono preoccuparsi solo di non fare danni e di compiacere il vertice. Stop. Quindi: medio turnover, provenienza dalla stessa industry e quasi mai dalla stessa azienda.
    • Area Digital/IT: criterio di sperimentazione sociale. Questa è l’area dove l’utilitarismo si sbizzarrisce in quanto i componenti sono fungibili al mantenimento del proprio network auto referenziato e alla sperimentazione di nuove forme di management scientifico. Ricordando le caratteristiche dell’utilitarismo, non sorprende che questo criterio venga adottato proprio in questa area: è quella in cui ci sono ancora nuovi ambiti/scambi da poter controvalorizzare da zero. Quindi: alto turnover, provenienza da qualsiasi industry e mai dalla stessa azienda.
  • I componenti del Triangolo sono ottimi comunicatori all’esterno, sanno scegliere in maniera perfetta gli argomenti, i canali, le tempistiche e soprattutto la platea di riferimento. I destinatari delle loro comunicazioni all’esterno sono quasi sempre loro peer o membri del proprio network
  • Chi appartiene a questo livello non ha execution risk dal punto di vista del proprio percorso di carriera. gli verrà riconosciuto il merito per qualsiasi successo  che l’Azienda raggiungerà nel breve termine, non risponderà di qualsiasi danno o fallimento sperimentato dall’Azienda nel breve/medio/lungo termine. Questo è ovvio, considerando i punti sopra riportati, e rappresenta un aspetto fondamentale perché consente di comprendere i diversi livelli di accountability che concretamente il singolo manager mette in atto.

 

Lo spazio bianco: questo livello è la vera novità della nuova struttura organizzativa. Vi chiederete da che punto di vista vada analizzato, dato che al suo interno non sono presenti risorse aziendali.Ebbene, questo spazio va studiato dal punto di vista della comunicazione. Infatti, avendo rinunciato a una cinghia di trasmissione manageriale tra i 2 livelli, l’Azienda utilitaristica basa la propria coesione sulla sola capacità di comunicare e diventa quindi fondamentale comprendere le modalità di riempimento di questo spazio bianco.

  • Argomenti affrontati:
    • Quelli dall’alto verso il basso sono sempre generici e quindi inconfutabili; difficilmente il Triangolo entra nel vivo della vita aziendale quando comunica e preferisce toccare temi sociali o di contesto su cui tutti non possono che riconoscersi. Da questo punto di vista, assistiamo quasi al paradosso di vedere l’utilitarismo sposare uno degli esiti della morale kantiana.
    • Quelli dal basso verso l’alto sono sempre appiattiti e a scarso valore aggiunto per chi fosse, eventualmente, interessato a raccoglierli Questo può essere dovuto a più ragioni che non si riescono a esplorare in maniera esaustiva nello spazio di questo articolo. Sicuramente l’esito è quello di un’occasione persa.

La combinazione di questi due aspetti fa sì che sia molto più facile sapere cosa sta accadendo dentro e fuori l’azienda andando a leggere i mezzi di comunicazione pubblici, piuttosto che i contenuti presenti nello Spazio Bianco.

  • Impostazione:
    • Dall’alto verso il basso si assiste a un wording asettico; è questa un’evoluzione rispetto al puro formalismo, perché si tratta di un linguaggio che vorrebbe essere coinvolgente ma non riesce ad esserlo, e né d’altronde potrebbe riuscirci. Infatti tra l’attenzione al politically correct e la necessità di evitare termini che potrebbero urtare chissà quale sensibilità, al destinatario non rimane nulla del messaggio che si vorrebbe trasmettere. Questo è sicuramente frutto della volontà di fare override di qualsiasi caratteristica culturale, per omogeneizzare la popolazione aziendale.
    • Dal basso verso l’alto il linguaggio è diretto, a volte sfrontato. Il limite principale è quello di usare ancora un wording che dà troppo per scontato che i destinatari della comunicazione abbiano lo stesso background culturale dei mittenti, mentre non è più così. Quindi a volte si rischia di essere o troppo diretti oppure fraintesi. Da questo punto di vista i componenti del Trapezio devono ancora fare uno sforzo significativo per essere maggiormente efficaci nel comunicare.

La combinazione di questi due aspetti fa sì che chi dall’esterno legge le comunicazioni presenti nello Spazio Bianco, possa pensare di trovarsi di fronte a un verbale di un’assemblea generale di un grande Partito politico della Prima Repubblica.

  • Tempistiche:
    • Dall’alto verso il basso il timing è calibrato nell’ottica del “poi non dire che non te lo avevo detto”. La comunicazione istituzionale viaggia con tempi che nascondono - neanche troppo – il fatto che la stessa sia vissuta come un atto dovuto, nulla più.
    • Dal basso verso l’alto il timing è diverso in base al tipo di comunicazione: si va dal random (nel caso di condivisione di fatti di vita aziendale) al very last minute (nel caso di comunicazione istituzionale).
  • Canali: ormai i canali di comunicazione sono molteplici ed efficienti; si va dalla mail ai social, passando per tool aziendali più o meno complessi, a seconda dei casi e delle necessità. Qui esiste una vera e propria mappa dei canali da usare rispetto alla finalità della comunicazione. Rimarco solo l’impiego sempre più decrescente del canale più antico del mondo, e cioè quello fisico: anche qui le ragioni sono varie e occuperebbero troppo spazio.

Vale la pena riportare giusto una nota differenziante del nuovo management scientifico, e cioè lo slogan “per chi vuole, la mia porta è sempre aperta”. Questa è una perla che, unita a tutti gli altri punti, sintetizza il valore dello Spazio Bianco nella nuova struttura aziendale

 

Il Trapezio: questo livello chiaramente c’è sempre stato, mentre nel tempo è cambiata la sua composizione ed è quindi da questo punto di vista che lo analizziamo.

  • Competenze: così come avviene in molti contesti attuali, l’estrema specializzazione del lavoro porta all’aumento del mix di competenze presenti nel Trapezio. La partizione di competenze, già in fieri sin dal concepimento del management scientifico, è adesso arrivata a livelli estremi per cui non esiste più nessuno che possa essere veramente autonomo nel condurre la propria attività. Un tempo questa impostazione era tipica delle catene di montaggio, adesso viene applicata anche ai cosiddetti “lavori di concetto” e questo fa ben capire il ruolo e la dignità del capitale umano nella concezione utilitaristica al lavoro. Questo livello quindi è pieno di competenze diverse, il che le rende a lungo andare tutte uguali nel senso che sono tutte pienamente fungibili, con chiari benefici da parte del Triangolo.
  • Gerarchie: in questo livello le gerarchie sono molto sfumate, fenomeno paradossale considerando il suo evidente ispessimento rispetto a solo 50 anni fa; adesso fanno parte del Trapezio figure che un tempo sarebbero sicuramente state in livelli superiori dell’organizzazione anche se non nel Triangolo (il cosiddetto middle management, ad esempio), eppure questa differenziazione sta perdendo di significato. Non serve più distinguere per livelli in maniera sostanziale: nel Trapezio hanno tutti la stessa valenza decisionale ed esecutiva di fronte all’azienda e resta qualche residuo legato ad alcuni aspetti istituzionali, quali il processo valutativo o remunerativo, ma sempre più pilotati dall’alto, lasciando poche leve a chi li deve agire dal basso.

Nel breve termine questo aspetto viene percepito molto positivamente da tutti i componenti, nel medio si inizia a percepire l’inganno che si nasconde dietro a questo apparente “mondo degli uguali”.

  • Anzianità: questa è chiaramente funzione dell’industry di cui parliamo, e del ciclo di vita in cui si trova l’Azienda. Un aspetto che differenzia l’impostazione utilitarista dalle altre è l’impiego delle risorse in età pre-pensionabile. Nelle aziende non utilitariste queste risorse, negli ultimi mesi/anni di attività vengono impiegate, anche part-time, per la formazione e per il passaggio di consegne. Nelle aziende utilitariste, prive di memoria, le stesse risorse vengono accantonate per non contaminare il futuro con il passato
  • Fidelizzazione: il fatto che questa sia decrescente è comprensibile in base a quanto spiegato fin qui, e d’altronde non sembra che la fidelizzazione sia un tema che stia particolarmente a cuore in questo tipo di impostazione. E’ invece interessante studiare l’interazione tra i giovani e l’azienda: infatti possiamo immaginare che i profili giovani siano quelli che meglio aderiscono ai nuovi standard, semplicemente perché sono cresciuti nella convinzione – trasmessa dagli stessi decision maker che compongono il Triangolo - che questi standard siano gli unici possibili e corretti. Quello che andrà capito è quanto, nel medio termine, questo binomio sia sostenibile nelle aziende di grandi dimensioni. Chi, dei giovani che oggi compongono il Trapezio, entrerà per vie traverse (e non per carriera interna, per quanto detto prima) a far parte del Triangolo? E che impostazione saprà dare all’Azienda? Quale stile avrà il giovane di oggi e manager di domani, cresciuto in un contesto lavorativo senza memoria?

Ancora non c’è una serie storica significativa per rispondere a queste domande, almeno in Italia. Sicuramente ne riparleremo alla prossima generazione del management scientifico!




Joseph Weber e le onde gravitazionali - Vittime illustri di modi ideologici di fare scienza

Dopo la storia del medico ungherese Ignác Semmelweis (raccontata qui), trattiamo oggi un altro esempio1 di vittima illustre di un modo ideologico di fare scienza2: il caso del fisico statunitense Joseph Weber (1919 – 2000). Egli fu uno scienziato brillante e stimato, ma emarginato.

L’inizio

Negli anni ’60 Weber costruì il primo prototipo di rilevatore di onde gravitazionali, un fenomeno fisico la cui esistenza era stata predetta più di mezzo secolo prima dalla teoria della relatività di Albert Einstein. Secondo l’equazione di campo – l’equazione fondamentale della relatività generale – il repentino cambiamento di massa di un corpo produrrebbe delle increspature nello spazio-tempo. Secondo Einstein, queste perturbazioni ondulatorie dovevano essere estremamente diffuse nell’universo, ma allo stesso tempo molto difficili da rilevare perché straordinariamente flebili.

Lo strumento costruito da Weber, in un seminterrato del suo dipartimento dell’Università del Maryland, era costituito da cilindri di alluminio della lunghezza di 2 metri e del diametro di un metro; al passaggio di un’onda gravitazionale, questi cilindri ne avrebbero registrato il transito grazie a una variazione di 10-12 millimetri (in proporzione, e per intenderci, è come se la distanza dal sole alla stella più vicina variasse del diametro di un capello umano!). Weber aveva investito anni della sua carriera nella costruzione di questi rilevatori, trascorrendo mesi in laboratorio e imparando a conoscerli in ogni dettaglio. All’inizio degli anni Settanta, lo scienziato statunitense pubblicò i primi risultati e disse di aver registrato un primo alto flusso di onde gravitazionali. 

La pubblicazione di Weber fu fin da subito accolta con molto scetticismo. I risultati infatti contenevano una fondamentale contraddizione: sebbene la conferma dell’esistenza delle onde gravitazionali fosse una prova a sostegno della teoria di Einstein, l’intensità delle onde che Weber aveva registrato era invece molto più alta del previsto e suggeriva, sempre secondo la teoria della relatività, che l’universo avrebbe dovuto avere una vita estremamente corta e ciò era considerato, dalla comunità dei fisici, molto improbabile. 

Dilemmi scientifici e metodologici

Qui sorge il primo dilemma: la teoria della relatività era stata confutata o confermata dalle osservazioni di Weber? Secondo Weber la teoria della relatività era stata confermata, ma richiedeva qualche aggiustamento per non fornire previsioni sulla vita dell’universo molto poco verosimili. Secondo i critici dell’esperimento, al contrario, l’intensità delle onde gravitazionali registrata era semplicemente incompatibile con la relatività e quindi le osservazioni di Weber dovevano, necessariamente, essere errate.

Per smentirle, nell’arco di qualche anno, una mezza dozzina di gruppi di ricerca costruì dei rivelatori simili a quelli dell’Università del Maryland, con l’intento di ripetere l’esperimento e invalidarlo. E così fu. Nessun altro rivelatore aveva riprodotto gli stessi risultati ottenuti da Weber. 

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Ed ecco il secondo rompicapo: i critici di Weber, che avevano smentito le sue osservazioni per riabilitare la relatività, non avevano forse contraddetto la relatività stessa con il mancato rilevamento delle onde gravitazionali? E come decidere chi tra Weber e i suoi rivali avesse preparato l’esperimento nel modo più appropriato per lo studio di un fenomeno così sfuggente? Certo, risultati negativi si erano ripetuti più volte, ma questo non significava necessariamente che le onde gravitazionali non esistessero. Anzi, la mancanza di risultati poteva essere dovuta all’imperizia dei rivali di Weber, che non potevano certo vantare la sua esperienza nella progettazione di strumenti così sofisticati. Se è vero infatti che molti scienziati si trovavano d’accordo nel ritenere poco credibili le affermazioni di Weber, le ragioni del loro scetticismo erano tuttavia molto differenti – e talvolta in contraddizione – fra loro. In particolare, il fisico della IBM Richard Garwin aveva opposto una decisa resistenza alle conclusioni di Weber per principio; e solo per rendere il suo attacco ancor più convincente aveva effettuato delle misurazioni che avevano inferto colpi decisivi all’ipotesi di Weber. 

Un abbandono prematuro

La contesa durò per tutto un decennio, periodo durante il quale Weber si impegnò a dimostrare come ciascun esperimento “rivale” fosse in qualche modo vittima di fallacie metodologiche. Così egli tentava, a sua volta, di screditare coloro che lo avevano attaccato. 

A partire dall’inizio degli anni Ottanta, la maggioranza della comunità scientifica perse interesse per la ricerca delle onde gravitazionali. Questo fenomeno, infatti, non solo si era dimostrato difficile da individuare, ma aveva anche reso ardua la carriera di molti brillanti fisici che vi si erano dedicati, a causa della penuria di fondi e dello scetticismo generale dovuto alle continue controversie interne alla comunità.

L’inaspettata conferma

Fu soltanto alla fine degli anni Novanta che una nuova generazione di antenne interferometriche, il cui design manteneva alcuni elementi cardine degli strumenti progettati da Weber, rilanciò la caccia alle onde gravitazionali. L’annuncio della scoperta salì agli onori delle cronache il 1 febbraio 2016, quando in una conferenza stampa congiunta di LIGO (Laser Interferometer Gravitational-waves Observatory) e Virgo (il nome di un ammasso di galassie nella costellazione della Vergine), due gruppi di ricerca che avevano collaborato al progetto, annunciarono che nel settembre del 2015 avevano misurato le onde gravitazionali scaturite dalla collisione di due buchi neri distanti a circa 1 miliardo e 300 milioni di anni luce dal sistema solare. Ironia della sorte, le tracce di uno degli eventi più rari dell’universo avevano colpito i nuovissimi rilevatori dopo soltanto due settimane dalle loro attivazione, concludendo così in un tempo brevissimo una caccia che durava da un secolo e si pensava potesse protrarsi per molti altri decenni ancora.

Addirittura, il Nobel

Al giorno d’oggi, dopo la conferma dell’esistenza delle onde gravitazionali che è valsa il premio Nobel nel 2017 a Kip Thorne, Barry Barish e Rainer Weiss (nel frattempo Weber era morto nel 2000, avvolto da un’amarezza inconsolabile)3, all’interno della comunità scientifica esiste un consenso pressoché generale; anche se il consenso potrebbe non essere assoluto, tuttavia esso ha ormai raggiunto un livello tale per cui sarebbe molto difficile per un fisico scettico (sulle interpretazioni dei dati raccolti da Ligo e Virgo) essere ritenuto sufficientemente credibile da permettergli di pubblicare un articolo scientifico su una rivista prestigiosa.

La lezione (ancora non appresa) per una scienza ideologica

L’esperimento di Weber aveva fornito dei risultati che si trovavano solo parzialmente in accordo con la teoria della relatività di Einstein, a partire dalla quale l’esperimento era stato progettato. Infatti, da un lato, l’esistenza delle onde gravitazionali sembrava fornire una conferma empirica della relatività; dall’altro, l’esubero di onde gravitazionali rispetto a quelle predette poneva non pochi interrogativi. Neanche la costruzione da parte di altri sei gruppi di ricerca di altrettanti strumenti per controllare l’attendibilità delle misurazioni di Weber risolse il rompicapo. E questo è inconcepibile per una scienza ideologica, che non accetta di convivere con le contraddizioni.

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Peraltro, secondo Weber le rilevazioni effettuate dai suoi colleghi non rappresentavano una sconfessione della sua ipotesi perché, a suo parere, erano i nuovi rilevatori a non essere attendibili (reliable). I rilevatori di onde gravitazionali sono infatti strumenti delicatissimi e nessuno degli altri fisici possedeva le competenze (che aveva acquisito lui) per costruirli in così breve tempo. Il fatto che questi nuovi strumenti non confermassero l’esistenza delle onde gravitazionali era, secondo Weber, semplicemente frutto della imperizia dei suoi colleghi. 

 

Nondimeno, gli scienziati dovevano confrontarsi su un nuovo problema: che cos’era a non funzionare? Quale degli esperimenti andava rigettato? Se gli scienziati avessero seguito il falsificazionismo popperiano (un altro pilastro, forse inconsapevole, di una scienza ideologica), avrebbero dovuto rigettare la teoria della relatività, fino a quel momento ritenuta corretta, poiché in disaccordo con la misurazione dell’intensità delle onde gravitazionali. Ma così non fu. E questo è molto interessante, soprattutto per i seguaci di Popper…

 

 


NOTE

1 Tratto dal volume di Giampietro Gobo e Valentina Marcheselli, Sociologia della scienza e della tecnologia. Un’introduzione (2021).

2 Per ”ideologico“ intendo quell’atteggiamento pre-costituito (e la relativa pratica) per cui una qualsiasi idea, proposta o procedura che non rientri in determinati schemi pre-definiti non viene accolta nemmeno come possibilità, e di conseguenza non le viene attribuito lo status di ipotesi possibile su cui sospendere cautelativamente il giudizio.

3 https://www.science.org/content/article/remembering-joseph-weber-controversial-pioneer-gravitational-waves


Monopattini elettrici e numeri maltrattati – Strumentalizzare le statistiche

A metà agosto dell’anno scorso, in vacanza in un paesello di montagna, sono caduto con la bicicletta e mi sono rotto un paio di ossa, finendo al pronto soccorso. 

Sulla base delle frequenze di incidenti rilevate, un ipotetico giornale locale avrebbe potuto titolare così la pagina della cronaca del giorno dopo: ”Sempre più numerosi gli incidenti gravi ai ciclisti nel paese di Vattelapesca”

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Nulla di falso in questo titolo: la vittima dell’incidente è un ciclista; l’agosto precedente scorso non c’erano stati incidenti ai danni di ciclisti; grave è grave, mi è costato ricovero e intervento. 

Il cronista avrebbe potuto anche scrivere, che gli incidenti in bicicletta, in agosto, a Vattelapesca: “Si moltiplicano”, “Crescono in maniera esponenziale”, tutto senza allontanarsi di un passo dalla verità. 

Ora, è evidente che questa presentazione della questione – pur corretta dal punto di vista del rapporto con la realtà – rischia di essere drammatica e fuorviante. 

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Cambiamo scenario: il 12 ottobre 2023, un telegiornale a diffusione nazionale titola un servizio: “Sempre più pericolosi i monopattini elettrici, incremento del 78% degli incidenti mortali”.

Lo spunto per il servizio – che si focalizza sulla pericolosità dei monopattini elettrici – è la morte di una ragazza che è stata travolta, a Trento, mentre attraversava la strada con il suo monopattino; non era ancora noto se fosse a bordo del monopattino oppure se lo stesse spingendo a mano. 

È normale, nella pratica giornalistica, utilizzare un evento puntuale come pretesto per introdurre un articolo che parla di fenomeni generali, niente da dire. È il caso, tuttavia, di esaminare qualche aspetto del fenomeno generale di cui parla questo servizio:

  • L’incremento del 78% di cui si parla è un dato relativo al 2022, rispetto al 2021
  • Gli incidenti mortali con il monopattino nel 2022 sono stati, in valore assoluto, 16
  • Nel 2023, fino al 12 ottobre, il numero di incidenti mortali con il monopattino più attendibile è 15 (la ragazza di Trento è la quindicesima).

Sembrerebbe, quindi, che il numero assoluto, nel 2023,di incidenti mortali con il monopattino fosse in calo rispetto al 2022.

Andiamo avanti: se esaminiamo la fonte, che supponiamo attendibile (Aci-Istat), gli incidenti mortali simili nel 2021 sono stati 10 (9 conducenti e un pedone), quindi l’incremento nel 2022 scende al 60%.

Cos’è, quindi questo 60%? Potrebbe trattarsi dell’incremento di incidenti gravi, non solo di quelli mortali. Una sorta di metonimia? No, si tratta di una lettura riduttiva dei dati del 2021, che non conta un pedone investito ma solo i conducenti.

 

Con un minimo ancora di approfondimento, scopriamo che il servizio tace sul “denominatore nascosto” del fenomeno degli incidenti: il numero di monopattini elettrici circolanti e il suo incremento negli anni di cui si parla.

Non si trovano facilmente dati sull’incremento tra 2021 e 2022 dei mezzi di proprietà ma sicuramente i noleggi di monopattini elettrici è aumentato di circa il 50%. 

Tra 2022 e 2023, invece, ci sono fonti che parlano di un aumento del 140% dei monopattini privati e di più del 100% dei noleggi. 

In proporzione ai monopattini circolanti, è plausibile che l’incidenza di incidenti sia diminuita nel 2022 e c’è l’evidenza di una riduzione del 50% nel 2023.

Addirittura, secondo l’Osservatorio Nazionale sulla Sharing Mobility, tra il 2021 e il 2022, il rapporto tra incidenti, numero di monopattini e chilometri percorsi è calato dell’80%. 

Il quadro che si scorge approfondendo le cifre è, quindi, decisamente diverso. 

Eppure, questa percentuale drammatica del 78% di incidenti mortali in più fornisce al servizio – e ai numerosissimi altri articoli di stampa che in quei giorni ne ricalcano i contenuti – il carattere di affidabilità scientifica: sono numeri, sono percentuali, sono calcoli scientifici, legittimano le affermazioni e le conclusioni.

E distorcono irrimediabilmente la realtà. Perché?

Ecco perché: ad ottobre 2023 è iniziata la discussione parlamentare delle nuove misure di legge che riguardano i mezzi di cui parliamo: obbligo di targa e di assicurazione, obbligo del casco, dotazione di freni anteriore e posteriore indipendenti, frecce, limiti di velocità e regole di parcheggio; oggi, parte di queste misure diventa legge.

La vera notizia d’agenzia da lanciare era, quindi, la legge - che è diventata esecutiva in questi giorni - la cui legittimazione doveva passare attraverso un percorso di drammaticità: quello dell’incremento degli incidenti.

Questa vicenda mette in luce come si possono facilmente maltrattare i numeri e farli diventare “dati scientifici” con risultati distorti, secondo regole di rilevanza sociale. 

 

 

P.S.: Il quotidiano locale della zona dove sono caduto l’agosto scorso non ha parlato del mio infortunio, né delle statistiche sugli incidenti ciclistici. Il Sindaco del paesello non aveva in programma, me l’ha assicurato di persona, nessuna nuova legge comunale sulle mountain bike.

 


RIFERIMENTI PER I DATI:

  • ACI – ISTAT, report incidenti stradali 2022
  • Osservatorio sulla Sharing Mobility
  • EMG Mobility,  13 Febbraio 2023
  • Wired 22.05.2023