La costruzione di un’identità (Seconda parte) - Il sesso nell’antichità

Nell'articolo precedente, La costruzione di un’identità (Prima parte), abbiamo visto come l’ermafroditismo e la transizione sessuale (cioè cambiare sesso nel corso della vita) siano fenomeni naturali. Sia nel mondo vegetale (piante e fiori) che animale (vermi, molluschi, pesci).

E gli esseri umani? Come è stato considerato l’ermafroditismo in passato? Un errore di natura? Non sempre.

Nell’antichità l’ermafroditismo (l’ambi-sesso) fu considerato uno stato originario, un’essenza divina, completa, irraggiungibile, la perfezione perché nell’uno c’erano tutte le possibilità.

Chi era rimasto ermafrodita, anche dopo la scissione primordiale, era quindi un essere ritenuto semi-dio, un umano non umano, un umano che sfuggiva alla razionalità del dualismo imposto dalla cultura e dalla società (cfr. Fausto-Sterling, A., 2000: 32). L’ermafrodito era definibile in un genere altro rispetto a quello maschile e femminile, definito dagli Dei appunto neutrum.

Ermafrodito è il figlio di Hermes (messaggero degli Dei) e di Afrodite (dea dell’amore e della bellezza). Il suo nome è la crasi dei nomi dei suoi genitori. Secondo il mito, la ninfa Salmace – perdutamente innamorata del giovane – chiese a suo padre (Poseidone) di poter essere fusa per sempre con il ragazzo. Fu così che la ninfa-donna si fuse con il semidio-uomo: ne nacque l’ermafrodita/o.

 Platone

Nel Simposio di Platone, il commediografo Aristofane sostiene che a uno stadio originario dell’umanità,
(precedente alla divisione dei sessi) esisteva solo un terzo genere, un po’ come il numero 1 (parimpari) che genera tutti gli altri numeri:

«Innanzitutto, i generi degli uomini erano tre e non due come ora, ossia maschio e femmina,
ma c’era anche un terzo che accomunava i due, e del quale ora è rimasto il nome, mentre esso è scomparso. L’androgino era, allora, una unità per figura e per nome, costituito dalla natura maschile e da quella femminile accomunate insieme, e nella forma e nel nome, mentre ora non ne resta che il nome, usato in senso spregiativo. […] Per questo i generi erano tre, perché il maschio aveva tratto la sua origine dal Sole, la femmina dalla Terra e il terzo sesso, che partecipava di entrambi, dalla Luna, la quale partecipa della natura del Sole e della Terra» (
Platone, Simposio, 189 e/190 b, Mondadori, Milano 2001, pp. 55-57, trad. di Giovanni Reale).

Platone nel IV sec. a.C. sembra utilizzare (erroneamente) il termine androgino [composto da ἀνήρ «uomo» e γυνή «donna»] come sinonimo di ermafrodita.

Non solo nel mondo greco antico, ma anche in altre culture, l’ermafroditismo era visto positivamente. Ad esempio, secondo alcuni interpreti biblici, Adamo in origine nacque ermafrodita (Adamo-Eva) e venne successivamente scisso in maschio e femmina (cfr. Eliade 1989: 89). Inoltre, sono ermafroditi tutti gli Dei più importanti della mitologia scandinava (Odino, Loki, Tuisto, Nerthus), le divinità egizie Hapi, Atum e Neith di Sais, e quelle indiane Shiva e Vishnù, oltre ad Aditi. Pure l’azteco Ometeotl, la divinità doppia composta dai due aspetti Ometecuthli/Omecihuatl, è ermafrodita[1].

Aristotele

Come abbiamo visto nel Simposio, le cose cominciano a cambiare già ai tempi di Platone: l’ermafroditismo tra gli umani diviene una condizione molto controversa, spesso considerata un’aberrazione, un fenomeno infausto e turpe. Per Aristotele l’ermafrodita è un individuo sovrabbondante, in cui l’eccesso di materia sbilancia l’equilibrio tra maschile e femminile. Il pregiudizio aristotelico però si ferma al piano fisico: l’ermafroditismo è una condizione che interessa solo i genitali e non l’intera persona.

Questa visione ‘mostruosa’ dell’ermafrodita successivamente si accresce: neonat* che presentavano caratteristiche ambigue e difficilmente definibili venivano respint* come affratellat* al diavolo, emanazioni del peccato, messagger* di verità ingannatrici. Si profila in epoca medievale una lettura nuova dell’ermafroditismo, che non viene valutato soltanto nelle sue implicazioni fisiche, bensì inizia a essere giudicato come una devianza morale. Avviene cioè una transizione, storicamente fondamentale, dal pregiudizio fisico a quello morale: essere ermafrodit* non significava più possedere due attributi al posto di uno, ma significava essere individui ingannevoli a causa di una devianza fisica.

Per cui, fino agli inizi del ‘600 gli ermafroditi vengono considerati mostri, giustiziati e bruciati, e le loro ceneri sparse nel vento (cfr. Foucault 2004: 67).

Questo breve (e incompleto) excursus storico ci fa capire (al di là di ogni pretesa essenzialista) che i modi con cui indentifichiamo l’altro sono basati su categorizzazioni (culturali) che possono cambiare (e spesso lo fanno) nel tempo. E appellarsi alla “natura” non è sempre un buon modo di affrontare un tema. Anche perché la supposta “natura” (pensata come entità autonoma dall’agire umano), proprio in questo caso ci dice che esistono molteplici possibilità di identificazione sessuale e ridurle alle (o farle forzatamente rientrare nelle) nostre classificazioni non è sempre cosa saggia.

Ma allora, quali sono i criteri di individuazione sessuale? Lo vedremo la prossima volta.

 

 

NOTE

[1] Cfr. https://win.storiain.net/arret/num197/artic1.asp

BIBLIOGRAFIA

Eliade, Mircea (1989), Il mito della reintegrazione, Milano: Jaca Book.

Fausto-Sterling, Anne (2000), Sexing the Body: Gender Politics and the Construction of Sexuality, New York: Basic Books.

Foucault, M. (2004), Gli anormali. Corso al Collège de France (1974-1975), Milano: Feltrinelli.

 

 


Gemelli digitali del pianeta? No grazie - Una riflessione sui "futuri simulati"

Un articolo recentemente pubblicato sul giornale WIRES Climate Change offre una critica articolata delle iniziative anche Europee di costruire dei gemelli digitali dell’intero pianeta, comprensivi di oceani, atmosfera, biosfera, e degli umani con le loro economie e società. Di cosa si tratta?

Molti gemelli artificiali sono già di uso corrente, in ingegneria, medicina e gestione dei processi. Secondo il sito della IBM un gemello digitale

… È una rappresentazione virtuale di un oggetto o sistema, disegnato per riflettere accuratamente un oggetto fisico. Esso copre l’intera vita dell’oggetto, viene alimentato con dati in tempo reale e usa simulazioni, nonché tecniche di apprendimento automatico (machine learning)

Gemelli di una turbina, di un ciclo produttivo o di un cuore umano, possono aiutare nello sviluppo di nuovi prodotti, processi o farmaci.

Il passaggio da una turbina al pianeta con noi sopra non è ovviamente cosa da nulla. Questi megamodelli gireranno su supercomputers inghiottendo enormi banche dati e generando immensi output che potranno essere ‘letti’ con l’ausilio di intelligenze artificiali. Essi ci consentiranno, secondo chi li propone, di affrontare le sfide dell’antropocene (un termine usato per indicare una nuova fase geologica caratterizzata da un visibile impatto umano) con particolare attenzione ai cambiamenti climatici. I gemelli del pianeta saranno collegati in tempo reale con satelliti, droni, boe, cavi sottomarini, sensori della produzione agricola e telefoni mobili.

Euronews, una rivista con sede a Bruxelles, si porta avanti, e annuncia: 'Gli scienziati hanno costruito un "gemello digitale" della Terra per prevedere il futuro del cambiamento climatico'. Secondo Margrethe Vestager, Vicepresidente Esecutiva per un'Europa dell’era digitale:

Il lancio dell'iniziale Destination Earth (DestinE) è un vero punto di svolta nella nostra lotta contro il cambiamento climatico... Significa che possiamo osservare le sfide ambientali, il che ci aiuterà a prevedere scenari futuri - come non abbiamo mai fatto prima... Oggi, il futuro è letteralmente a portata di mano.

 

DestinE è la versione europea dei numerosi progetti volti a costruire gemelli digitali del pianeta. L'idea che possiamo costruire una replica in silico (cioè nella pancia di un computer) della Terra ha un chiaro fascino culturale, una visione prometeica di fuga definitiva dell'umanità dalla materialità, accolta con entusiasmo come si vede da diversi decisori politici e da molte istituzioni scientifiche, come si puo’ vedere dal numero speciale del giornale Nature Computational Change, che discutendo diverse applicazioni del gemelli digitali presenta l’estensione all’intero pianeta come una naturale evoluzione della tecnologia. Perché opporsi, quando tanti fondi appaiono a portata di mano per sviluppare computers e modelli più potenti per studiare la Terra, il suo clima, l’evoluzione metereologica e gli eventi estremi? L’iperbole diventa di rigore, e così si arriva a dire che i gemelli preconizzano una nuova fase nello sviluppo dell’umanità, dove il mondo diventa “cyber-physical” cioè senza più barriere fra il virtuale ed il reale, grazie al suo nuovo esoscheletro.

Pubblicare un articolo critico come quello offerto da Wires Climate Change diventa così una sfida per gli undici autori, che richiede pazienza e una certa dose di ostinazione per procedere nonostante i rifiuti di molti giornali di scienze naturali. Quali ragioni adducono questi autori a ‘mettersi di traverso’?  Le ragioni sono diverse e fanno riferimento a diverse scuole e discipline – come gli stessi autori:

  • I proponenti dei gemelli digitali della Terra sostengono che essi, aumentando la risoluzione spaziale dei modelli, fino alla scala del kilometro, ci consentiranno di decifrare i misteri del cambio climatico. Per i dissidenti sopracitati:

Più alta è la risoluzione (cioè, maggiore è la localizzazione), più emergono feedback non fisici come rilevanti, che si tratti degli effetti microclimatici delle foreste o dei micropattern di albedo dovuti al ricongelamento di pozze acquose sulle calotte di ghiaccio. Il cambiamento di scala spesso comporta cambiamenti non banali nella complessità e nei principi che governano il sistema, e scale più dettagliate possono rivelare comportamenti caotici deterministici. Una risoluzione diversa potrebbe richiedere descrizioni di processi differenti, forse ancora sconosciute.

  • I gemelli sono il risultato di una catena di riduzioni: la scienza viene ridotta alla fisica delle equazioni che governano il cambiamento climatico, e questa viene a sua volta ridotta ad un determinismo che solo esiste nelle equazioni stesse.
  • L’enfasi sui gemelli, anche per affrontare sfide come la difesa della biodiversità, stravolge la natura della sfida e ne sposta il baricentro dal sud globale, dove si trovano le specie da classificare e difendere, al nord globale dove l’attenzione si concentrerà sulle specie sulla quali esistono più dati.
  • Il progetto dei gemelli illustra drammaticamente l’autorità epistemica (relativa alla conoscenza) assunta dai modelli e da chi li opera. Gli eccessi di tale autorità, resi evidenti nel corso della recente pandemia, sono evidenti nella impostazione dei gemelli, che tendono a posizionare il cambio climatico – di certo reale e incombente – come una mono-narrazione cui tutto deve fare riferimento, comprese guerre, migrazioni, e derive autoritarie, con il risultato di oscurare la geopolitica con la fisica a danno dei deboli che si vorrebbero difendere dal cambiamento climatico.
  • I gemelli digitali emergono da un intreccio di cambiamenti sociopolitici e tecnologici, in cui i numeri – indipendentemente da come vengono generati, siano essi visibili, come nelle statistiche, o invisibili, come quelli che girano nel ventre degli algoritmi – influenzano sempre più il discorso sociale, causando l’allarme dei filosofi, dei giuristi, degli economisti e degli stessi tecnologi, per non parlare degli esperti che studiano la sociologia della quantificazione e la sua relazione con la politica.

Quest’ultimo bullet, relativo alla relazione fra modelli, numeri e politica, si presta a interessanti digressioni, su come i numeri conferiscano potere epistemico e legittimità, e siano diventati il mezzo prevalente per esprimere valore nelle nostre società. L'accesso e la produzione di numeri riflettono e rafforzano le strutture di potere esistenti. I numeri catturano la nostra attenzione orientandola selettivamente. I numeri sono diventati invisibili poiché penetrano ogni aspetto della vita attraverso grandi modelli, algoritmi e intelligenza artificiale. Numeri e fatti sono diventati sinonimi. I numeri hanno colonizzato i fatti.

Un’altra digressione possibile riguarda il "fact signalling” con i numeri – «una pratica in cui i tropi stilistici del pensiero logico, della ricerca scientifica o dell'analisi dei dati vengono indossati come un costume per rafforzare un senso di giustizia morale e certezza». Questa è diventata un'attività dilagante praticata da esperti, presunti verificatori di fatti, politici e media. Un'arte simile è praticata dai cosiddetti ‘imprenditori di valori’ – esperti il cui lavoro consiste nel misurare il valore sociale di diverse iniziative al fine di stabilire legittimità, dimostrare conformità, cambiare comportamenti o giustificare un campo. Il fact signalling è anche praticato da attori industriali per difendere i propri interessi sotto il pretesto di difendere la scienza dai suoi presunti nemici. I numeri sono diventati una misura di virtù, ed i gemelli del pianeta ce ne forniranno in abbondanza.

Una terza ed ultima digressione – ci perdoneranno i lettori – riguarda il ruolo dei mezzi di comunicazione in quanto discusso fin qui. I media hanno sostanzialmente fallito nel monitorare adeguatamente gli esperti, spesso presentando le opinioni degli stessi esperti come certezze. Sul fronte cruciale della politica, i media contribuiscono a una campagna futile per difendere la democrazia e i valori dell'illuminismo attraverso la “verifica dei fatti” (sempre con numeri). Come osservato da un linguista cognitivo, ciò avvantaggia le forze antidemocratiche moltiplicando il loro messaggio: contare le bugie di Trump significa parlare di Trump ogni giorno. L'uso sconsiderato dei numeri banalizza i valori della politica e indebolisce la vita democratica.

Tornando ai gemelli del pianeta, si può concludere con una ricetta in quattro punti per un futuro più gentile, basata sullo sviluppo di diversi modelli specifici e adatti allo scopo piuttosto che su un modello universale, sull'esplorazione del potenziale di modelli semplici basati su euristiche in contesti climatici/ambientali, sulla raccolta e integrazione di dati da fonti divergenti e indipendenti, inclusa la conoscenza tradizionale, e sull'abbandono di una visione del pianeta centrata sulla fisica a favore di una diversità di processi relazionali, sia sociali che biologici, naturalmente fluttuante e irriducibilmente incerta, che richiede pratiche di cura più pluraliste e provvisorie per contrastare le narrazioni socio-ecologiche della modernizzazione ecologica, della crescita verde, dei servizi ecosistemici e simili.

Questa non è una discussione del tutto nuova. Il sociologo della scienza Brian Wynne osservava quaranta anni fa in relazione ai grandi progetti di modellizzazione:

Che sia deliberatamente concepito e utilizzato in questo modo o meno, la grande modellizzazione può essere interpretata come un simbolo politico il cui significato centrale è la diseducazione e la privazione del diritto di partecipazione delle persone dalla sfera della politica e della responsabilità.

Wynne suggeriva inoltre che:

In effetti, l'analisi delle politiche, specialmente quella condotta attorno a modellizzazioni su larga scala, tende ad essere strutturata in modo tale che ogni gruppo di modellizzazione costituisca virtualmente la propria ‘peer community’ [la comunità di esperti in grado di verificare la qualità del prodotto scientifico].

È quindi legittima la preoccupazione?

 

 

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Una versione di questo articolo è apparsa in inglese nel blog ‘The Honest Broker’ di Roger Pielke Jr., settembre 2024.


L’etica hacker al di là di destra e sinistra - Il potere e la Silicon Valley

Quo usque tandem

Fino a quando i politici e i media mainstream abuseranno delle categorie di destra e sinistra per parlare della Silicon Valley? Candidati, ministri, deputati e giornalisti si impigliano in questa classificazione già nei loro discorsi consueti, aggovigliandosi in parole d’ordine in cui è difficile comprendere cosa distingua questi orientamenti politici e in che modo li si debba identificare. La loro applicazione al sistema di economia e di potere delle Big Tech è ancora più arbitrario, dal momento che i fondatori e i manager delle multinazionali digitali americane, l’ecosistema degli startupper e dei finanziatori, dichiarano da sempre di appartenere ad un’élite dell’umanità in cui valgono regole di valutazione, diritti di decisione e libertà di manovra, che non si trovano nella disponibilità di tutti.

Nello statuto di Facebook e nella lettera agli azionisti al momento del collocamento in Borsa, Mark Zuckerberg chiariva che il fondatore avrebbe conservato un potere di voto maggioritario, in modo indipendente dalla distribuzione delle quote azionarie, perché aveva dimostrato di essere più smart di chiunque altro. La rivendicazione di questo privilegio proviene dall’etica hacker, che distingue gli esseri umani in capaci e incapaci, senza ulteriori sfumature. L’abilità è testimoniata dal talento di trovare una procedura per risolvere qualunque problema – anzi, nell’individuare il procedimento più semplice dal punto di vista dell’implementazione e più esaustivo dal punto di vista dei risultati. Se si considera che questa è la prospettiva con cui viene descritta l’intelligenza dalle parti della Silicon Valley, non sorprende che la progettazione di una macchina capace di vincere le partite di scacchi sia stata interpretata come la via maestra per realizzare l’Intelligenza Artificiale Generale (AGI), raggiungendo la Singolarità, il tipo di intelligenza che si ritrova negli esseri umani.

Il problema di cosa sia smartness è che dipende sempre dalla definizione, e dal contesto culturale che la concepisce. Per gli esponenti più influenti della Silicon Valley coincide con la capacità di escogitare algoritmi: una serie di operazioni governate da una regola che possono essere automatizzate – ingranaggi che, sistemati nei luoghi opportuni, fanno funzionare meglio la macchina-mondo, così com’è. La politica, come riflessione sul potere e come progetto antropologico che immagina una realtà migliore e una società più giusta (qualunque significato si assegni a migliore e a giustizia), non serve: è inefficiente, provoca disagi e rallentamenti. L’universo attuale non ha bisogno di aspirazioni al cambiamento, se non il requisito di un’efficienza maggiore, movimenti più oliati, privilegi che si perpetuano scontrandosi con meno frizioni, un’opinione pubblica convertita in una platea di utenti-clienti.

Smartness

In questa prospettiva, i «ragazzi» che hanno fondato le imprese da cui proviene l’ecosistema di software in cui siamo immersi, possono a buon diritto stimarsi più smart degli amministratori pubblici. Elon Musk ha avviato il progetto Starlink per l’erogazione di connettività a banda larga via satellite nel 2019, e oggi conta su oltre 7.000 satelliti già in orbita, con circa tre milioni di abbonati tra gli utenti civili di tutto il globo – senza contare la capacità di intervenire nelle sorti delle guerre in corso in Ucraina e Israele, o di contribuire al soccorso delle popolazioni alluvionate in Emilia Romagna nel 2023. L’Unione Europea ha varato un piano concorrente solo quattro anni dopo: Iris2 ha debuttato nel marzo 2023, dopo nove mesi di dibattito preliminare, con la previsione di lanciare 170 satelliti entro il 2027. Il progetto però sta già subendo dei rinvii a causa delle tensioni con i partner privati Airbus (tedesca) e Thales (francese).

Altro esempio: dopo l’approvazione dell’AI Act, l’Unione Europea ha allestito un Ufficio per l’applicazione del regolamento, che occuperà 140 persone. Nel piano è previsto un finanziamento distribuito fino al 2027, di 49 milioni di euro complessivi, per progetti che creino un grande modello linguistico generativo open source, capace di federare le aziende e i progetti di ricerca del continente. L’obiettivo è costruire un’alternativa concorrente a ChatGPT, che però OpenAI ha cominciato a progettare nel 2015, su inziativa di quattro fondatori privati (tra cui il solito Elon Musk e Sam Altman, attuale CEO), che hanno investito di tasca loro oltre 1 miliardo di dollari, e che è stata sostenuta con più di dieci miliardi di dollari da Microsoft nell’ultimo round di finanziamento.

L’archetipo randiano

La storia dei successi delle tecnologie ideate e commercializzate in tutto il mondo dalle società della Silicon Valley accredita la convinzione dei loro fondatori di incarnare l’élite più smart del pianeta; l’etica hacker stimola la loro inclinazione a concepire, realizzare e distribuire dispositivi il cui funzionamento viola qualunque normativa a tutela della privacy e della proprietà intellettuale in vigore, con la creazione di mercati che trasformano ambienti, comportamenti, relazioni, corpi umani, in beni di scambio e di consumo; la filosofia di Ayn Rand giustifica sul piano della cultura, dell’ideologia e della politica, il loro atteggiamento come la missione salvifica dell’individuo eccezionale nei confronti della destinazione storica dell’intera specie. La devozione agli insegnamenti della Rand accomuna tutti i leader delle Big Tech in un’unica visione dell’uomo e del mondo, che legittima i loro modelli di business come valide espressioni del loro talento, e censura le reazioni degli organismi di giustizia come il sabotaggio perpetrato dall’ottusità tradizionale e dalla repressione (sprigionata dalla vocazione comunista di ogni istituto statale) sulla libertà di azione dell’imprenditore-eroe. La rivendicazione della libertà di iniziativa al di là dei limiti di qualsiasi sistema legale non avviene solo sul piano del diritto, ma è avvertita come un dovere da parte dei depositari della smartness del pianeta – perché, come osserva il co-fondatore ed ex direttore di Wired Kevin Kelly, il loro coraggio di innovazione porta a compimento un percorso di evoluzione ineluttabile: il tentativo di resistervi conduce ad un ruolo subordinato nelle retrovie del presente, nella parte di chi viene accantonato dalla Storia.

Tecnologia e istituzioni

Riotta e Bonini rilevano che oggi l’espressione culturale della Silicon Valley è il Think Tank del Claremont Institute, dove verrebbe praticato una sorta di culto delle idee di Leo Strauss. Se così fosse, dovremmo riconoscere che il clima filosofico della zona si è molto moderato, e raffinato, rispetto al superomismo tradizionale della Rand. Tuttavia gli editorialisti de la Repubblica leggono questo passaggio come un segnale dello sbandamento verso destra dei rappresentanti delle Big Tech, tra i quali si avvertirebbe sempre di più la frattura tra progressisti e reazionari. L’articolo del 21 settembre di Riotta prepara l’interpretazione politica del premio «Global Citizen Award 2024» dell'Atlantic Council a Giorgia Meloni, consegnato il 24 settembre da Elon Musk in persona. Molti giornali hanno chiosato il significato dell’evento come la celebrazione dell’alleanza tra il gruppo di imprenditori legati a Musk e la destra europea e americana. Il contratto di cui il creatore di Starlink e la Presidente del Consiglio avrebbero parlato nel loro colloquio privato riguarda proprio la gara di appalto per i servizi di connettività dello stato italiano. Tim e OpenFiber si sono aggiudicati i progetti per la copertura con banda larga di tutto il territorio, alimentati dal Pnrr; ma hanno già accumulato ritardi e opposto difficoltà alla concorrenza satellitare, per cui il governo potrebbe decidere di sostituire la loro fornitura via terra con quella dei servizi di Elon Musk. Anche per le operazioni di lancio dei satelliti di Iris2, l’Italia potrebbe appoggiare la collaborazione con SpaceX, grazie alla quale verrebbero superati gli impedimenti sollevati da Airbus e Thales. Il rapporto con le società americane permetterebbe loro di entrare nelle infrastrutture strategiche per la gestione dei servizi civili e persino per quelli di sicurezza nazionale dell’Unione Eruopea.

Già negli anni Ottanta del secolo scorso Ulrich Beck osservava che il ritmo di avanzamento della scienza e della tecnologia è troppo veloce per permettere alle istituzioni pubbliche di vagliare i rischi, di verificare condizioni e conseguenze, di guidarne lo sviluppo: alla politica non resta che constatare e convalidare l’esistente. Il rapporto che si stabilisce tra le figure di Musk e della Meloni non sembra differente: non è l’imprenditore ad essere affiliato alle fila della destra politica, ma è l’innovatore spregiudicato che definisce le prospettive della tecnologia, le possibilità che essa pone in essere, e i criteri per giudicare dispositivi e processi concorrenti. L’Unione Europea è relegata nel ruolo di inseguitore poco efficiente di ciò che Starlink ha già concepito e realizzato: il discorso con cui Giorgia Meloni consacra Elon Musk come campione degli ideali della destra, in fondo, non è che il gesto di validazione dell’esistente da parte delle istituzioni, e l’affiliazione della politica al mondo che l’eroe randiano ha progettato per noi. È la Presidente del Consiglio ad essere arruolata tra i legittimatori della leadership naturale dell’hacker, nelle fila di coloro che percepiscono il bene comune come la soluzione tecnologica di problemi che, o permettono questo tipo di ricomposizione, o non esistono.

Come ha dichiarato Sam Altman alla fine di luglio 2024, anche la crisi delle disparità sociali ha una soluzione che deve essere gestita dalle aziende tecnologiche, con la distribuzione di un reddito base universale a tutti coloro che stanno per perdere il lavoro: a causa della rivoluzione imminente dell’Intelligenza Artificiale Generale, secondo il CEO di OpenAI, questa sarà la situazione in cui a breve verseremo quasi tutti. Sono quasi due decenni che con le piattaforme digitali, Facebook e Google in primis, l’intero mondo Occidentale si è trasformato in un enorme esperimento sociale a cielo aperto, controllato e mirato solo da chi possiede le chiavi del software (purtroppo, molto spesso, nemmeno troppo in modo consapevole).

Come al tavolo dell’Atlantic Council, Giorgia Meloni siede alla destra di Elon Musk, alla corte dei re della tecnologia politica.

 

 

BIBLIOGRAFIA

Ulrich Beck, Una società del rischio. Verso una seconda modernità, trad. it. a cura di W. Privitera, Carocci Editore, Roma, 2005.

Paresh Dave, Here’s What Happens When You Give People Free Money, «Wired», 22 luglio 2024.

Kevin Kelly, Quello che vuole la tecnologia, Codice Edizioni, Milano 2010.

Gianni Riotta, Carlo Bonini, Silicon Valley, in fondo a destra, «la Repubblica», 21 settembre 2024.