COS’È LA FAO

La FAO – Food and Agriculture Organization – è «un’agenzia specializzata delle Nazioni Unite che guida gli impegni internazionali mirati a sconfiggere la fame». Il suo obiettivo dichiarato è «raggiungere la sicurezza alimentare per tutti e assicurare alle persone l’accesso regolare a quantità sufficienti di cibo di elevata qualità, al fine di condurre vite sane e attive»[1].

Questa missione, dichiarata nella sezione “About us” del sito, dice una serie di cose importanti per la controversia che stiamo esaminando: la FAO è un’agenzia delle Nazioni Unite; agisce per garantire a tutti (paesi e popolazioni) accesso a quantità sufficienti di cibo; il cibo deve essere di elevata qualità; in ultimo, il cibo sembra essere funzionale all’obiettivo di condurre una vita sana ed attiva.

TEMA, ATTORI E POSIZIONI DELLA CONTROVERSIA

La controversia verte su quanto potrebbe contribuire la diminuzione del consumo di carne – in particolare di carne bovina[2] – sul contenimento delle emissioni di CO2 nell’atmosfera e, di conseguenza, sull’effetto serra nei prossimi 25 anni.

Da tempo si parla del fatto che gli allevamenti (intensivi) di bestiame, in particolare di bovini destinati al macello per la produzione di carne a uso alimentare umano[3], sono una fonte rilevante – il 12% del totale[4] – delle emissioni di CO2 e di “gas serra” nell’atmosfera.

La riduzione delle emissioni legate agli allevamenti intensivi è una tematica ricorrente nella narrazione giornalistica e si intreccia con l’istanza animalista sulle condizioni e le sofferenze imposte a bovini, ovini e suini e con quella ambientalista sui gas serra.

La questione coinvolge anche la disponibilità di alimentazione proteica a basso costo per le fasce di popolazione meno ricche e il tema delle tradizioni culturali alimentari.[5]

Gli attori sono di questa disputa sono, da una parte la FAO e il suo rapporto “Pathways towards lower emissions. A global assessment of the greenhouse gas emissions and mitigation options from livestock agrifood systems” presentato alla conferenza ONU sul clima, la COP28 di Dubai; dall’altra parte, due fisici che studiano l’impatto di varie attività umane sull’ambiente: Paul Behrens e Matthew Hayek, tra gli autori degli studi scientifici citati nel rapporto della stessa FAO.

Il rapporto Pathway towards lower emission realizzato dalla FAO stima la riduzione delle emissioni di CO2 che si può ottenere con una serie di interventi sulle pratiche di allevamento e alimentari. L’efficacia stimata per ciascuno di questi interventi è la guida per definirne rilevanza e priorità.

Prime, per efficacia stimata e per priorità di attuazione, ci sono due linee di intervento sulle modalità di allevamento degli animali da carne:

  • la prima linea suggerisce di incrementare la produttività degli allevamenti;
  • la seconda linea propone di migliorare l’alimentazione e lo stato di salute degli animali negli allevamenti.

Quali sono i razionali e gli effetti attesi di queste misure di contenimento delle emissioni?

La prima linea, quella della produttività, è legata in modo diretto alla previsione di aumento della popolazione mondiale (+ 20% nei prossimi 25 anni) e proietta un aumento proporzionale di produzione animale necessario a soddisfare la domanda di carne e latticini. Grazie all’aumento di produttività, la FAO stima un possibile minore incremento di emissioni pari al 30%.

Per inciso, il rapporto FAO – fatto salvo per la riduzione dell’età di macellazione degli animali, che favorirebbe un migliore rapporto tra costi di produzione, volumi di prodotto (carne, peso dell’animale ucciso) e emissioni di gas – non suggerisce specifici modi per migliorare la produttività ma parla soltanto di “enhanced efficiency at every production stage along the supply chain” e “adoption of best practices”.

La seconda linea di intervento, relativa all’alimentazione e al benessere degli animali negli allevamenti, potrebbe migliorare i risultati della prima misura per varie ragioni: una alimentazione con cibi più calorici, meno grassi e più oli essenziali può far crescere prima e meglio gli animali; alimenti tannici possono ridurre la quantità di gas nella fase di ruminazione; in generale, una alimentazione “più sana” può far diminuire il tasso di mortalità degli animali e, nello stesso tempo, aumentare il tasso di crescita.

La FAO considera di minore rilevanza, in termini di effetti e di priorità, le misure relative al cambiamento delle abitudini alimentari, al consumo più responsabile e alla conseguente minore domanda di carne per uso alimentare, quali:

  • cambiare le abitudini alimentari, in particolare ridurre il consumo di carne, seguendo le indicazioni governative, con un effetto di contenimento delle emissioni tra il 2% e il 5%[6];
  • ridurre gli sprechi dei generi alimentari nella parte finale della filiera[7], dalla vendita al consumo, con un effetto di contenimento tra il 3% e il 6%.

Ecco, il tema del cambiamento delle abitudini alimentari è il centro della controversia.

Behrens e Hayek sostengono, infatti, in una lettera indirizzata al Direttore della Divisione Produzione Animale e Salute della FAO, che il rapporto FAO ha distorto e mal utilizzato una serie di informazioni, sottostimando l’effetto di riduzione delle emissioni associato alla riduzione del consumo di carne.

In particolare, i due scienziati, denunciano che:

  • la FAO ha usato un loro studio del 2007 mentre altri studi più recenti – loro e di altri autori – disegnano uno scenario diverso e più favorevole alla riduzione del consumo di carne;
  • l’effetto del cambiamento alimentare è calcolato sulla base di raccomandazioni nazionali (NDR – National Dietary Recommendations) obsolete; quelle più aggiornate raccomandano quantità di carne e di latticini molto minori;
  • il rapporto contiene una serie di errori sistematici che portano a sottostimare gli effetti del cambio di dieta, tra i quali: l’utilizzo dei massimi di scala per gli NDR, la comparazione di grandezze difficilmente commensurabili, il raddoppio dei valori di emissioni al 2025, l’uso di un mix incongruente di anni di confronto;
  • infine, che il rapporto FAO non prende in considerazione le linee guida più aggiornate sulle diete sostenibili e salutari raccolte – ad esempio – nell’autorevole e recente studio EAT – Lancet del 2019

Sulla base di queste considerazioni, Berhens e Hayek sostengono che il minore consumo di carne avrebbe effetti strutturali e decisamente superiori a quanto stimato dalla FAO, ponendosi in controtendenza rispetto alla strategia di inseguire una crescita della domanda di carne proporzionale all’aumento della popolazione.

Alla lettera con cui chiedono di rivedere il rapporto, la FAO ha – responsabilmente, va detto – replicato che il rapporto è stato sottoposto a peer-reviewing in doppio cieco e che, quindi, va ritenuto affidabile, ma si impegna a indagare sulle questioni sollevate e a confrontarsi con Berhens e Hayek su metodo e merito.

Nel frattempo, però, il rapporto della FAO è stato utilizzato nella conferenza sul clima COP28.

CONCLUSIONI

Ora, aspettando di vedere cosa succederà, viene da chiedersi quanto la FAO sia un soggetto indicato per definire strategie, linee guida e priorità per le misure di contenimento della CO2 nell’atmosfera, seppure se correlate all’alimentazione; la domanda si pone perché alcune misure di contenimento possono essere in parziale conflitto con gli obiettivi della FAO.

Sembrano emergere, infatti, almeno quattro ordini di problemi:

  1. La FAO ha la missione di garantire, qui e ora, che tutti abbiano cibo di elevata qualità e abbondante; un cambiamento radicale degli schemi produttivi e alimentari, basati – ad esempio – su una rapida riduzione degli allevamenti intensivi e su un deciso allontanamento dall’alimentazione carnea può essere in conflitto con la missione della FAO, per due ragioni: la prima è la necessità di sostituire – in tempi altrettanto serrati – carne e latticini a basso costo con prodotti vegetali di qualità e altrettanto reperibili; la seconda è la necessità di riassestamento economico e occupazionale del settore e dei paesi produttori di carni meno ricchi, che richiederebbe un sostegno organizzato a livello sovranazionale;
  2. la missione della FAO è centrata sulla nozione di “cibo di alta qualità”, nozione che è socialmente costruita e per lo più rappresentata da cibi a elevato contenuto proteico di origine animale, carne e latticini[8] (meglio se a basso prezzo); una svolta verso la diminuzione di questi cibi è certamente in conflitto con la nozione di “alta qualità” della FAO e richiede anche un cambiamento culturale rilevante;
  3. la natura della FAO – emanazione dell’UN e controllata da 143 paesi, tra i quali alcuni grandissimi produttori di carne bovina in allevamenti intensivi – richiede di tenere conto del possibile conflitto di interessi tra le misure di riduzione del consumo di carne e i paesi produttori;
  4. l’ultimo tema che emerge è la possibile competizione tra l’istanza morale di una migliore e più abbondante disponibilità di cibo e quella di salvaguardia dell’ambiente a cui fa capo il contenimento delle emissioni di CO2; chi decide di queste due istanze ha la priorità?

Senza nulla togliere al suo compito insostituibile, la FAO non dovrebbe, però, essere soggetto normativo su come ridurre le emissioni, ma occuparsi di mettere in atto, senza effetti negativi sul benessere di tutti, le misure più efficaci di contenimento delle emissioni decise da organismi dedicati a questo e confrontarsi con questi sulla maggiore o minore priorità dell’istanza alimentare versus quella ambientale.

Tra l’altro, l’indicazione del miglioramento dell’efficienza (produttività) degli allevamenti – nonostante il tentativo di salvare capra e cavoli con il tema del welfare dei bovini – mostra la totale assenza, nella missione della FAO, dell’istanza morale del benessere e della vita degli animali non-umani. Che potrebbe – anch’essa – essere considerata in competizione con quella della vita sana e attiva degli umani.

 

 

NOTE

Questa riflessione e il relativo studio delle fonti hanno preso spunto dall’articolo La FAO ha distorto degli studi sull’importanza di ridurre il consumo di carne?, apparso il 26 aprile 2024 su “il POST” e sull’articolo del Guardian UN livestock emissions report seriously distorted our work, say experts, 19 aprile 2024.

[1] Traduzione mia dalla sezione “About us” del sito della FAO, https://www.fao.org/home/en

[2] La produzione di carne di ruminanti ha un’impronta di CO2 di circa due ordini di grandezza superiore a quella di ovini e di suini. Cfr. Walter Willett et al., Food in the Anthropocene: The EAT-Lancet Commission on Healthy Diets from Sustainable Food Systems, “Lancet” (London, England) 393, no. 10170 (2019): 447–92, https://doi.org/10.1016/S0140-6736(18)31788-4, Figure 4, pag. 471.

[3] La produzione di carne a uso alimentare umano è lo scopo prevalente dell’allevamento intensivo di animali. Tra gli altri scopi – a titolo di esempio – possiamo citare: pellame (cuoio) per le industrie di abbigliamento, prodotti alimentari per animali da compagnia, farine proteiche, capsule per i farmaci, fertilizzanti (primo fra tutti il letame), caglio animale per formaggi, biocarburanti.

[4] Dati FAO: Globally, the production of the animal protein, as presented in the previous subsection “Global animal protein production”, is associated with a total of 6.2 Gt CO2eq of emissions, constituting approximately 12 percent of the estimated 50 to 52 Gt CO2eq total anthropogenic emissions in 2015. (Greenhouse gas emissions from agrifood systems.Global, regional and country trends, 2000-2020. FAOSTAT Analytical Brief Series No. 50. Rome). https://www.fao.org/3/cc2672en/cc2672en.pdf)

[5] È interessante vedere come lo stesso numero, la stessa percentuale – in questo caso del 14,5%, calcolata nel 2015 – di contribuzione dell’allevamento animale sia narrata in modo opposto da due parti a loro volta contrapposte: il WWF scrive «tra i maggiori responsabili della produzione di gas serra ci sono gli allevamenti intensivi che, in base a stime della FAO, generano il 14,5% delle emissioni totali di gas serra»; Alimenti&Salute, sito tematico della Regione Emilia-Romagna dedicato alla sicurezza alimentare e alla nutrizione, titola: «Rapporto FAO sulle emissioni gas serra. Solo il 14% viene attribuito agli allevamenti intensivi»

[6] Con una diversa distribuzione tra paesi più ricchi, tra il 13% e il 24%, paesi a reddito intermedio, tra lo 0,08% e il 12% e, invece, un aumento di emissioni tra il 12% e il 17% per i paesi più poveri (cfr. cit. p.19)

[7] Se non ci credete, fate un giro in un qualsiasi supermercato verso le 19.00/20.00 e noterete quanta carne viene buttata via a fine giornata, perché ormai scaduta. Per cui non è vero che uccidiamo animali per mangiarli. Probabilmente il 50% degli animali viene ucciso per… essere buttato nella spazzatura a fine giornata…

[8] Per approfondimenti: Adams C, Carne da macello. La politica sessuale della carne, 2020, Vanda edizioni; Harris M., Buono da mangiare. Enigmi del gusto e consuetudini alimentari, 2015, Einaudi.

 

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

  • Il rapporto della FAO, Pathways towards lower emissions. A global assessment of the greenhouse gas emissions and mitigation options from livestock agrifood systems, Food and Agriculture Organization of the United Nations, Rome, 2023, ISBN 978-92-5-138448-0, si può scaricare qui.
  • La lettera di P. Behrens e M. Hayek indirizzata a Thanawat Tiensin, Director of Animal Production and Health Division (NSA), si può scaricare qui.
  • Greenhouse gas emissions from agrifood systems.Global, regional and country trends, 2000-2020. FAOSTAT Analytical Brief Series No. 50. Rome. https://www.fao.org/3/cc2672en/cc2672en.pdf)
  • Walter Willett et al., “Food in the Anthropocene: The EAT-Lancet Commission on Healthy Diets from Sustainable Food Systems.,” Lancet (London, England) 393, no. 10170 (2019): 447–92, https://doi.org/10.1016/S0140-6736(18)31788-4.
  • Nordic Cooperation, “Less Meat, More Plant-Based: Here Are the Nordic Nutrition Recommendations 2023,” Nordic Cooperation, 2023, https://pub.norden.org/nord2023-003/
  • Vieux et al., “Greenhouse Gas Emissions of Self-Selected Individual Diets in France: Changing the Diet Structure or Consuming Less?,” Ecological Economics 75 (March 1, 2012): 91–101, https://doi.org/10.1016/j.ecolecon.2012.01.003.

Autore

  • Gianluca Fuser

    Laureato in Scienze Filosofiche all’Università degli Studi di Milano e manager. Scrive appunti sul rapporto tra scienze, tecnologie e morale anche quando pedala come un pazzo, la domenica mattina. A volte dice di lavorare.