83 elefanti, 300 zebre, 100 gnu, 150 antilopi, 60 bufali e 30 ippopotami: sono 723 grandi animali – protetti – dei parchi nazionali che saranno uccisi da cacciatori ufficialmente incaricati dal Governo della Namibia.

Questo piano istituzionale è un intervento mirato a contrastare la più grave carestia degli ultimi 100 anni, con le scorte alimentari già esaurite per l’84%, più della metà della popolazione che si trova in gravi difficoltà alimentari dal mese di luglio e un aggravamento delle condizioni di malnutrizione per i bambini sotto i 5 anni .

Quindi: il Governo della Namibia intende sacrificare una parte consistente delle risorse naturalistiche del paese per far mangiare la propria gente, per alleviare le gravi sofferenze e difficoltà in cui questa gente versa. Sono risorse dei parchi, oggetto dell’interesse turistico e – per questo – elemento importante dell’economia namibiana; e sono protette dalle leggi costituzionali: «Lo stato dovrà promuovere e proteggere attivamente il benessere della popolazione facendo proprie le politiche internazionali rivolte ai seguenti obiettivi: protezione degli ecosistemi, processi ecologici essenziali, biodiversità, e uso delle risorse naturali come base sostenibile per il bene di tutti i namibiani, presenti e futuri» (Articolo 35 della Costituzione della Namibia). Ma, d’altra parte, questo stesso dettato costituzionale legittima l’uso degli animali per far mangiare i namibiani: «per il bene di tutti i namibiani», e quale maggior bene della sopravvivenza?

In più, anche questi animali hanno fame, perché la carestia colpisce tutti, indistintamente, e hanno iniziato ad esercitare pressione sui villaggi e sui paesi “di confine” con le aree protette, facendo danni e – pare – qualche vittima tra gli umani. 

E sono tanti, forse troppi: in molte regioni dell’Africa i programmi – realizzati secondo criteri ecologici e scientifici – di protezione delle specie caratteristiche e di sostegno al popolamento hanno dato risultati superiori alle aspettative e generato un numero di individui superiore al livello di sostenibilità territoriale, eccesso che rischia di mettere in crisi gli equilibri tra umani e non umani e tra diverse specie. 

QUESTIONI DI CONFINE

Da questa storia emergono – immediate – alcune questioni di confine, anch’esse, tra scienza e morale.

La prima riguarda il valore morale delle specie animali, umane e non umane; è evidente che  per il Governo e, immaginiamo, per tutti i namibiani, sfamare la popolazione è più importante della vita di qualche centinaio di animali dei parchi. 

In secondo luogo, gli animali dei parchi sono – lo dice la costituzione – risorse naturali il cui uso, che sia essere fotografati, cacciati o macellati, è finalizzato al bene della popolazione. Il confine è, qui, proprio tra individui e risorse. Questo confine ricalca la trasformazione di queste regioni, in cui – prima dell’intervento coloniale, delle successive rivoluzioni indipendentiste e delle occidentalizzazioni – tradizionalmente, gli animali avevano un diritto all’individualità e godevano di forme di rispetto e di attenzione dettate dalle tradizioni di equilibrio tra i diversi  abitanti, umani e non; ora sono risorse, da preservare e utilizzare con calcolo economico.

Terzo: l’effetto dannoso della fame è acuito dalla conflittualità “di confine” tra animali dei parchi e insediamenti umani: risultato – anche – degli interventi di preservazione e di ripopolamento di medio lungo periodo che hanno, probabilmente, trascurato l’analisi degli effetti collaterali.

 INCROCI PERICOLOSI

Proviamo a incrociare questa storia con altre storie recenti, serie e meno serie, che parlano di uccidere per mangiare e a considerare le reazioni “pubbliche” che si sono registrate:

  • La FAO è irremovibile – nonostante l’evidente contraddizione con i programmi transnazionali di riduzione delle emissioni di CO2 – sull’utilizzo del bestiame d’allevamento, mucche, maiali, polli, come fonte di cibo di elevata qualità. Legittima, in nome dell’evidenza scientifica della superiorità delle proteine di origine animale, l’industria dell’uccisione, per far mangiare “bene” la popolazione mondiale.  
  • Nel dibattito di pochi giorni fa tra i due candidati alla Presidenza degli Stati Uniti, uno dei candidati ha accusato gli immigrati Haitiani (neri e irregolari, è implicito) di uccidere, per mangiarli, i cani, i gatti e le oche dei vicini di casa (bianchi e regolari, si presume) cittadini di Pittsburgh.

Sulla posizione della FAO si registrano solo i commenti negativi di alcuni scienziati che studiano meno superficialmente il problema della CO2 e – naturalmente – degli attivisti animalisti. Nessun Governo e nessuna istituzione nazionale o sovranazionale pare aver preso una posizione di contrasto.

Sulla fandonia di cani, gatti e oche raccontata a fini elettorali dal candidato americano, invece, sono insorti tutti: molti per deprecare la falsità dell’argomento – puntualmente smentito dalle autorità di Pittsburgh – tutti, nessuno escluso, hanno aderito all’opinione di sdegno di fronte alla sola idea che possa accadere qualcosa del genere. Perlomeno per cani e gatti. Per le oche, invece, il fronte non è certamente compatto: il Governo inglese va verso l’abolizione delle  importazioni del foie gras ma l’opposizione conservatrice si oppone; in California il divieto è già attivo da tempo e in Belgio sono stati chiusi gli allevamenti forzati; ma in Francia si continua a produrre.   

E sulla Namibia? Preoccupazione e un po’ di sdegno delle organizzazioni naturaliste e animaliste, pur se mitigate dalla contropartita: si uccide – e in numero limitato – per alleviare la fame, per salvare i bambini, per far arrivare la popolazione all’arrivo di aiuti più consistenti. Non si dovrebbe, però… e nessun Governo, in tutto il mondo, sembra aver detto una parola.

GERARCHIE CONTROVERSE

Questi “incroci” sembrano disegnare delle mappe della gerarchia di rilevanza morale del mondo animale. Senza dubbio, in tutti i casi che abbiamo visto, gli umani sono al primo posto, ben al di sopra dei non umani: è legittimo, per un’ampia parte delle opinioni, uccidere altri animali per nutrire gli umani.

Però, va notato, non tutti gli “altri” animali sono ugualmente sacrificabili. I cani e i gatti godono di uno statuto privilegiato – sicuramente se domestici, apparentemente anche se randagi; non sono “buoni da mangiare”, ucciderli per mangiarli è deprecabile, incivile, barbaro.

Appena “sotto” ai cani e ai gatti, si vedono delle crepe: le oche, se a mangiarle sono gli immigrati Haitiani in USA, questi compiono un delitto. Se lo fa un cittadino francese, è rispetto della tradizione alimentare

Solo in India le mucche non si mangiano, sia questa una questione religiosa o micro-economica, ma nel resto del mondo – fatto salvo per una abbastanza ridotta percentuale di eretici vegetariani e vegani – la carne di mucche, maiali e polli è necessità proteica, cultura, abitudine, (spreco), ed è legittimata anche dalla FAO con argomenti scientifici.

E gli animali selvaggi delle regioni esotiche? Elefanti, zebre, gnu, ippopotami, eccetera, godevano – in generale –  anch’essi di uno statuto di intoccabilità, afferivano alla categoria delle specie a rischio di estinzione, da preservare, della biodiversità; ma si è aperta una crepa e pare che si possano uccidere e mangiare anche loro. E, oltre alla questione morale: meglio mangiare un elefante o lasciare malnutrito un bambino? entrano in gioco la dimensione economica: grandi animali affamati possono fare danni e per sostenere l’economia turistica dei parchi ce ne sono più che abbastanza, e la legittimazione scientifica, ecologica: troppi elefanti (ippopotami, gnu, …) mettono in crisi l’equilibrio faunistico e del verde territoriale. 

Quello che si nota qui è che i criteri per costruire la scala di valore degli animali sono principalmente sociali e spesso godono di legittimazione scientifica – l’inferiorità intellettiva di alcuni animali rispetto ad altri, ad esempio, è oggetto di numerose ricerche cognitive.

Tuttavia, non sembra che tra questi criteri sociali ci siano il valore della vita dei singoli individui non umani né quello della sensibilità, criteri che animano – invece – la lotta contro l’alimentazione forzata delle oche in molti paesi europei e che – sempre – legittimano la posizione dominante degli umani, a cui tutti possono – di fatto – essere sacrificati.

Autore

  • Gianluca Fuser

    Laureato in Scienze Filosofiche all’Università degli Studi di Milano e manager. Scrive appunti sul rapporto tra scienze, tecnologie e morale anche quando pedala come un pazzo, la domenica mattina. A volte dice di lavorare.