Nel precedente post[1] abbiamo mostrato che, anche se è stata dimostrata la correlazione tra l’aumento spontaneo della concentrazione di gas serra in atmosfera e il comportamento dei moti millenari del pianeta Terra, rimanevano comunque da comprendere alcune incongruenze riguardo a:
– la grande e anomala quantità di gas serra attualmente presente in atmosfera e
– la sua non riconducibilità alla sola attività dell’era industriale.

Quando si parla di emissioni di metano e di cambiamento climatico, il primo e spontaneo pensiero è di puntare il dito verso gli allevamenti di ruminanti. Complice di questo automatismo è la contingenza storica di crescente avversione nei confronti degli allevamenti intensivi per l’approvvigionamento alimentare.

Meno frequentato è, invece, un altro concorrente a questo genere di emissioni che, anche se meno celebre, è non meno importante. Anzi, è forse storicamente ben più influente nell’emissione di questo specifico gas serra: si tratta della coltivazione sommersa del riso[2].

Come promesso, riporterò qui, per brevissimi tratti, l’interessante teoria che William F. Ruddiman, paleoclimatologo della Virginia University, pubblicò nel 2001 assieme all’allora suo studente Jonathan S. Thomson, e che mette in relazione l’invenzione e la diffusione di questa tecnica di coltivazione con l’aumento anomalo di metano immesso registrato a partire da cinque millenni fa.

Mi soffermerò maggiormente sugli aspetti storici e logici che hanno permesso la validazione di questo studio[3].

L’IMPATTO ANTROPOGENICO IN GENERALE

Nei termini di adozione tecnologica, di qualità del processo produttivo e di quantità produttiva, è oggi un’evidenza apprezzabile e scientificamente dimostrata quella dell’impatto che le attività umane hanno sull’alterazione di un equilibrio climatico “naturale”. La schiera di convinti negazionisti è ormai ridotta ad una esigua cerchia che conta più che altro provocatori con altri fini o fenomeni da studio sociologico, che si autoescludono dalle discussioni serie su questo tema.

Tra la fine XIII e la metà del XIX secolo vi è stato un aumento progressivo dell’attività di disboscamento col fine di alimentare gli stabilimenti produttivi e le attività di tipo estrattivo, mentre oggi prosegue principalmente per ampliare la superficie coltivabile del pianeta.

La scoperta dei combustibili fossili avvenuta nel XIX secolo e il loro progressivo impiego in ambito industriale hanno portato all’aumento spropositato delle emissioni di anidride carbonica.

L’aumento delle emissioni di metano è, invece, per lo più imputabile: alla sua fuga accidentale durante l’estrazione e il trasporto delle risorse fossili; all’aumento della popolazione mondiale, combinato al miglioramento delle relative condizioni di vita[4], all’aumento della produzione di rifiuti e alla conseguente dell’estensione delle relative discariche a cielo aperto.

A questi fenomeni si aggiunge anche il necessario aumento delle aree agricole irrigate e di allevamento, che portano a legittimare quel “dito contro” a cui abbiamo inizialmente accennato, rivolto contro le emissioni fisiologiche dei ruminanti, ossia dalle deiezioni e dalla fermentazione enterica, ovvero dalla digestione del cibo.

Alla fine del XX secolo queste emissioni saranno tali da aver raggiunto livelli che equivalgono ai record paleoclimatici di molti milioni di anni fa, in particolari fasi dei processi di intensa formazione delle terre oggi emerse.

Abbiamo, dunque, un sospetto più che fondato: l’impatto antropogenico è la principale causa di questo aumento anomalo degli ultimi tre secoli.

Siamo ora pronti a tornare alla proposta di Ruddiman e Thomson.

LA NASCITA DELL’AGRICOLTURA E LA SCOPERTA DELL’IRRIGAZIONE SOMMERSA: L’ALTRA METÀ MANCANTE DELLE EMISSIONI DI METANO

Intrapresa la strada della ricerca sulla via del sospetto ruolo antropogenico precedente all’era industriale, i due iniziarono a valutare anche i dati archeologici provenienti proprio dall’epoca di quella prima anomalia: la naturale diminuzione di concentrazione di metano in atmosfera si arrestò e iniziò invece a risalire, contrariamente a quanto sarebbe dovuto accadere per migliaia di anni da allora fino alla prossima glaciazione.

Secondo Ruddiman e Thomson la più probabile spiegazione di questa inversione è da attribuirsi all’invenzione dell’irrigazione del riso, la cui domesticazione della pianta risalirebbe ad almeno 9000 anni fa in Cina, nel bacino dello Yangtze.

La tecnica della coltivazione sommersa, lo dimostrano i ritrovamenti archeologici, era già in uso nelle pianure Sud-Est Asiatiche 5000 anni fa[5], e si estese, 2000 anni dopo, fin nelle pianure dell’India del Nord e Centro-Orientale. Alla sua diffusione si aggiunse poi la progressiva evoluzione dell’ingegneria agricola con la creazione di sistemi di canali sempre più complessi, che portavano l’acqua dai punti più depressi delle pianure fino anche ai fianchi delle colline.

Per comprendere la portata del fenomeno studiato da Ruddiman e Thomson è, tuttavia, opportuno allontanare dalla mente la tecnica di coltivazione odierna di questa pianta erbacea, che ci porterebbe fuori strada

Diversamente dai rifiuti e dall’allevamento, la coltivazione del riso richiede per la propria produzione un’estensione non direttamente proporzionale al numero degli esseri umani che ne dipendono. Questo diviene evidente se pensiamo alla certa inefficienza della coltura del riso a partire dalle sue origini in termini di:

  • varietà meno produttive che, a parità di raccolto, imponevano la necessità di inondare aree più estese del suolo;
  • maggiore presenza di varietà di erbe infestanti e di biodiversità connesse all’ambiente palustre, ossia alla loro relativa decomposizione nelle stesse risaie.

Come abbiamo visto nello studio del meteorologo J. Kutzbach[6], in tutte le aree palustri, la decomposizione della materia organica in clima anaerobico è a carico dei microrganismi metanogeni, incluse in questa categoria ambientale vi sono le coltivazioni sommerse del riso.

Aree sommerse più estese, in termini pragmatici, significano una maggiore produzione di metano prodotta da questo genere di coltura.

Si può parlare di efficienza tangibile di questa tecnica agricola solo a partire dalla metà del XX secolo, con l’invenzione dei pesticidi e dei diserbanti, i quali non erano prima d’allora nel dominio d’azione tecnologica dell’agricoltore, e anche con l’evoluzione della selezione genetica delle varietà seminate. Efficienza anch’essa con i suoi costi notevoli in termini di impatto ambientale, ma che esulano dal tema che stiamo qui trattando.

Se pensiamo dunque all’insieme di elementi di estensione delle risaie collegata alla loro bassa efficienza, alla loro progressiva diffusione crescente, per millenni, sull’intero pianeta abitato e agli effetti spontanei dovuti all’habitat anaerobico palustre, comprendiamo meglio perché Ruddiman e Thomson avessero ben intuito che dietro alla spiegazione di questa anomalia e delle sue crescenti dimensioni ci fosse sempre una matrice antropogenica: l’invenzione dell’irrigazione agricola, soprattutto quella sommersa del riso.

 

NOTE

[1] “John Kutzbach e le correlazioni naturali tra i cicli glaciali e la concentrazione dei gas serra in atmosfera.” è il post in questione. Consigliamo al lettore anche la lettura di “Stiamo ritardando la prossima glaciazione? Si.” per aver una visione più chiara e solida del terreno d’indagine in cui si inserisce il presente post.

[2] Faccio presente al lettore che anche il metano (CH₄), per quanto sia un gas più dannoso, è anche meno “famoso” del suo concorrente l’anidride carbonica (CO2). In termini di inquinamento atmosferico il primo è infatti di 25-30 volte più dannoso della seconda.

[3] Il clima globale del Pianeta è un sistema altamente complesso, l’invito che faccio al lettore è di approfondire dunque gli aspetti specifici di questa teoria nel testo di riferimento principale utilizzato per presentargliela: “L’aratro, la peste, il petrolio – L’impatto umano sul clima” di William F. Ruddiman.

[4] Si tenga presente che secondo le stime attuali, l’aumento della popolazione è raddoppiata circa ogni 1000-1500 anni, da 5000 a questa parte. È solo con l’avvento della rivoluzione industriale che la crescita demografica prende ritmi mai visti. Si è stimato il raggiungimento di circa mezzo miliardo di esemplari della specie umana verso la fine 1500, mentre a inizio 1800 era 1 miliardo: oggi circa 8 miliardi in più rispetto a inizio 1500. La stima, su base archeologica, proiettata a 5000 anni fa ammonta a circa 40 milioni.

[5] Curiosità: nello Xinjiang di quasi 4000 anni fa, nell’attuale Cina, si estraeva e si faceva uso domestico del carbone fossile.

[6] Si veda la Nota #1.

 

FONTI

Willian F. Ruddiman, Jonathan S. Thomson, “The case for human causes of increased atmospheric CH4 over the last 5000 years”, Quaternary Science Reviews, vol. 20, Issue 18, December 2001, pp. 1769-1777, 2001

Ruddiman, “L’aratro, la peste, il petrolio – L’impatto umano sul clima”, UBE Paperback, 2015

Alice Fornasiero, Rod A. Wing, Pamela Ronald, “Rice domestication”, Current Biology, vol. 32, 1º gennaio 2022, pp. R20–R24

Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale RAPPORTI 374/2022 Il metano nell’inventario nazionale delle emissioni di gas serra. L’Italia e il Global Methane Pledge, 2022

NASA, “Atmospheric Methane Concentrations”, ONLINE https://climate.nasa.gov/vital-signs/methane?intent=121

IMEO, “Methane Data”, ONLINE, https://methanedata.unep.org/plumemap

Autore

  • Fabio Talloru

    Dottore magistrale in Scienze Filosofiche, è un artista multidisciplinare, musicista e sound designer. La sua indagine sulla Tecnica e sulla Tecnologia prende i passi dalla Filosofia di Platone e dalle Filosofie Presocratiche, con l’utilizzo di prospettive socio e antropologiche. Tra Milano, Sardegna, Dolomiti, porta avanti la sua ricerca mettendola in pratica attraverso la realizzazione dei propri lavori artistici. https://fabiotalloru.com/