1. ROVESCI

Uno dei colpi di scena più riusciti della saga di Star Wars è il momento in cui il protagonista, Luke Skywalker, scopre di essere figlio dell’antagonista malvagio, Darth Vader. I modelli della fantascienza devono essere presi molto sul serio, perché gran parte dei personaggi più influenti della Silicon Valley tendono a progettare le loro piattaforme, e persino a immaginare il futuro dell’umanità, ricalcandole sui contenuti dei film, delle serie e dei romanzi che hanno dominato la loro eterna adolescenza da nerd: Larry Page e Sundar Pichai (ex e attuale CEO di Google) hanno dichiarato a più riprese che l’obiettivo del loro motore di ricerca è emulare il computer di bordo dell’Enterprise della serie Star Trek.

Ad evocare il dramma dell’agnizione di Luke Skywalker questa volta però non è il fondatore di qualche impresa miliardaria nell’area di San Francisco Bay, ma il volume appena pubblicato da uno degli esponenti più stimati del pensiero liberal, molto amato dalla sinistra americana e internazionale, Yuval Noah Harari. Nexus riepiloga e approfondisce le riflessioni che l’autore ha elaborato a partire da Homo Deus (uscito nel 2016) sul futuro della nostra specie. 

Gli assunti con cui Harari inquadra la condizione umana potrebbero essere stati redatti da un ideologo del transumanesimo tanto di moda nella Silicon Valley, come Ray Kurzweil. Qualunque animale, e noi non facciamo eccezione, può essere descritto come una macchina, riducibile a dinamiche fisiche e chimiche, e a strutture comportamentali dettate da algoritmi. La coscienza, la soggettività, la felicità e lo sconforto, sono l’esito di reazioni tra molecole, e possono quindi essere eccitati o sedati da pastiglie che la ricerca scientifica renderà sempre più efficaci. Le indagini di uno dei più grandi divulgatori della realtà clinica e culturale della depressione, Andrew Salomon, contraddicono la baldanza farmacologica di Harari, insistendo sullo strano anello che si instaura tra la fisiologia, gli eventi della vita, e qualcosa di nebuloso e profondo che è identico, ma allo stesso tempo si oppone, alla chiarezza di biologia e biografia. 

Nexus non è interessato a questo genere di sottigliezze, dal momento che il percorso della storia è stato tratteggiato nella sua regola generale già un paio di libri fa: al termine del Medioevo l’uomo ha rinunciato al senso dell’universo, preferendogli il potere di programmarlo a proprio piacimento. Le religioni consegnavano ai nostri antenati una posizione centrale nel cosmo e un significato per la vita degli individui e per le comunità – ma pretendevano in cambio l’obbedienza a valori e norme fondate su un’autorità intransigente. L’emancipazione da ogni forma di trascendenza, e dalle sue declinazioni nelle istituzioni politiche e culturali, ha inaugurato un percorso in cui la scienza e la tecnologia sono arrivate a sovrapporsi e a coincidere, per convertire il mondo in un serbatoio di risorse a disposizione della felicità degli uomini. Purtroppo, la farmacopea è solo il simbolo di questa trasformazione, dal momento che la dissoluzione dell’aura sacra che avvolgeva la natura alimenta l’industria delle sostanze psicotrope, ma non offre alcuna indicazione sullo scopo della nostra vita. Possiamo fare tutto liberamente, ma non abbiamo più una ragione per fare qualcosa.

2. ALGORITMI

Quando i significati iscritti nel creato dileguano, il loro posto viene occupato dall’informazione, che si assume il compito di esprimere l’essenza del meccanismo cui sono ridotti gli esseri viventi e le loro società. L’opposizione tra democrazia e totalitarismo, che ricalca la distinzione tra mondo liberale e paesi comunisti, può essere ricondotta nella sua sostanza alla differenza morfologica tra sistemi di comunicazione. La dittatura, e il socialismo, sono configurazioni sociali in cui l’informazione è centralizzata, e irradia da un punto focale che identifica il leader, o l’élite burocratica dello stato. Al contrario la democrazia, e la dottrina liberale, prediligono una forma decentrata di circolazione dell’informazione, che abilita la nascita di molti poli di accesso alle notizie e di molti livelli di elaborazione, decisione, riproduzione dei dati e della conoscenza. L’informazione è l’asset che stabilisce relazioni tra elementi, parti, individui, gruppi: la ricostruzione dei suoi percorsi permette di disegnare le reti in cui si sintetizzano i composti nella dimensione fisica e chimica, prendono vita i processi biologici negli individui, si costituiscono le comunità nel mondo sociale e si dipanano i sentieri della storia. Per questo la nozione di algoritmo diventa pervasiva, e Harari riepiloga il corso completo dell’evoluzione come un percorso di elaborazione di algoritmi sempre migliori, che trovano la sintesi più efficiente in quelli che compongono l’uomo. Questo vantaggio spiega l’ordine universale, che coincide con la conversione della natura e di tutti i suoi membri in una riserva di mezzi di cui possiamo disporre per la nostra utilità. La violenza che esercitiamo con la manipolazione tecnica non è motivata dall’ostilità contro particolari enti animati o inanimati, o dal bisogno di protezione, ma è l’esito della nostra indifferenza nei confronti di tutto quello che non può resistere alla trasformazione del mondo in un ambiente a misura della funzionalità antropologica. Un altro modo per esprimere questa condizione è il giudizio che la ristrutturazione del pianeta operata dagli algoritmi da cui è governato il comportamento degli uomini sia un processo ineluttabile, una necessità imposta dall’evoluzione naturale. 

Le nozioni cui ricorre Harari annullano la separazione tra natura e tecnica. Informazione e algoritmi definiscono la struttura della realtà e le meccaniche del funzionamento di qualunque cosa, accomunando physis e techne in un’unica essenza e in un unico destino. Ma questa impostazione non può esimersi dal prevedere che nel momento in cui le prestazioni raggiunte dalle macchine supereranno le nostre, l’atteggiamento che i robot assumeranno nei nostri confronti applicherà le stesse logiche di utilità e indifferenza che noi abbiamo riservato ad animali e minerali. Il passaggio di questa soglia si chiama singolarità, e nella visione di Harari è talmente prossimo da dominare la valutazione della tecnologia che già oggi stiamo maneggiando. L’intelligenza artificiale guida l’autonomia dei dispositivi in cui si compie il salto evolutivo che segue e trascende quello della nostra specie, e che è destinato a sostituirci nel dominio del mondo: da vent’anni Ray Kurzweil ha insegnato a scandire le tappe che conducono al momento in cui i sistemi di calcolo raggiungeranno le facoltà di intuizione dell’uomo, e le travalicheranno con la corsa alla superintelligenza pronosticata e temuta da Nick Bostrom. Possiamo tentare di frenare, arginare, controllare lo sviluppo delle tecnologie digitali, ma Harari ci lascia presagire che in fondo si tratta di operazioni di retroguardia – e alla fine comunque un Darth Vader, nella forma di un Google o di un ChatGPT iper-evoluto, sciabolerà la sua spada laser in cloud e metterà fine alla resistenza della sopravanzata soggettività umana al di qua del monitor e della tastiera. 

3. FINE DELLA STORIA

Elon Musk non avrebbe saputo costruire un’argomentazione migliore per giustificare la subordinazione della dimensione politica al neoliberismo tecnologico contemporaneo, e per affermare l’inesorabilità di questo processo. Pur avendo irriso per anni la tesi della fine della storia di Francis Fukuyama, l’élite di sinistra l’ha introiettata in fondo al proprio inconscio culturale, insieme alla convinzione che la globalizzazione del mercato – e i rottami di democrazia che l’accompagnano – siano la forma compiuta dello Spirito Oggettivo hegeliano nelle istituzioni umane. Harari mostra lo stato di completo disarmo concettuale in cui versa la classe intellettuale, che si proclama progressista, nei confronti delle narrazioni del «realismo capitalista» e del transumanesimo di stampo californiano. Oltre all’ingenuità con cui vengono trattati i temi della tecnologia, la questione dell’intelligenza artificiale forte, il rapporto tra biologia e coscienza – il nodo critico più preoccupante rimane il fatto che «è più facile immaginare la fine del mondo che la fine del capitalismo» nella sua versione priva di pensiero e di futuro, che caratterizza la civiltà contemporanea. Harari condivide con Margareth Thatcher la convinzione che «non ci sono alternative» allo smantellamento di qualunque percorso politico che non sia l’adattamento alla rapacità di dati e di ricchezze da parte dei monopolisti della Silicon Valley, e di qualunque prospettiva storica divergente dall’ideologia transumanista, che vede nella transustanziazione in una macchina l’apogeo dell’umanità.

Ma se alle fantasie del cyberpunk, alla comunità degli estropiani, e persino alla corsa verso la singolarità di Kurzweil, si può riconoscere la spontaneità e l’euforia di un movimento nerd che si reputa sempre adolescenziale e che perpetua acne e turbe puberali – sulla corazza dello scientismo di Harari grava il tradimento di un Darth Vader che avrebbe potuto, e avrebbe dovuto, ricorrere alle proprie risorse intellettuali per denunciare la clausura della narrazione tecnocapitalista, e cercare un percorso diverso. Invece si è consacrato al lato oscuro della banalità.

 

BIBLIOGRAFIA

Bostrom, Nick, Superintelligence: Paths, Dangers, Strategies, Oxford University Press, Oxford 2014.

Fisher, Mark, Capitalist Realism: Is There No Alternative?, John Hunt Publishing, Londra 2009.

Fukuyama, Francis, The End of History and the Last Man, Free Press, New York 1992.

Harari, Yuval Noah, Homo Deus: A Brief History of Tomorrow, Harvill Secker, Londra 2016.

Nexus: A Brief History of Information Networks from the Stone Age to AI, Random House, New York 2024.

Kurzweil, Ray, The Singularity Is Near: When Humans Transcend Biology, Viking Press, New York 2005.

O’Connell, Mark, To Be a Machine: Adventures Among Cyborgs, Utopians, Hackers, and the Futurists Solving the Modest Problem of Death, Granta Publications, Londra 2017

Solomon, Andrew, The Noonday Demon: An Atlas of Depression, Simon & Schuster, New York 2001.

Autore

  • Paolo Bottazzini

    laureato in filosofia, si occupa di media digitali dal 1999: è co-fondatore di Pquod e VentunoLab, società specializzate nella comunicazione web e nell’analisi di dati. Parallelamente ha svolto attività di docenza sui temi della comunicazione digitale per il Politecnico di Milano, per il Corep presso il Politecnico di Torino, per il Dipartimento di Filosofia dell’Università degli Studi di Milano. Descrive i modelli cognitivi emergenti dai nuovi media nella monografia pubblicata nel 2010: Googlecrazia. Dal febbraio 2011 testimonia la loro evoluzione negli articoli pubblicati sulle testate Linkiesta, pagina99, Gli Stati Generali.