Questo articolo è pubblicato in contemporanea
dal Gruppo di divulgazione e discussione online
“Ideeinformazione”
Nelle aree alpine – si è notato più volte in questi anni – il fenomeno del cambiamento climatico si sta facendo sentire con particolare acutezza. Ma a farsi sentire sembra anche una scarsa volontà di cambiare stili di vita e atteggiamenti culturali, in particolare l’idea di sviluppo del territorio. Come del resto nelle grandi pianure. Fortunatamente, però, crescenti sono anche le reazioni delle popolazioni locali, sempre più consapevoli della necessità di “cambiare rotta” dal punto di vista economico-sociale, orientandosi verso un modello di sviluppo meno consumistico e “quantitativo”. Qualcosa che può insegnare molto (e – perché no – dare anche un po’ di speranza) a chi nelle aree montane non vive.
Nelle prealpi lombarde ci sono ameno due casi di scuola, che illustrano bene questa situazione.
IL COMPRENSORIO SCIISTICO VILMINORE-LIZZOLA (BG)
Vilminore e Lizzola sono due comprensori sciistici nella Bergamasca: il primo in valle di Scalve, sopra il comune di Vilmonore, e il secondo nella parallela Val Seriana, sopra Valbondione (di cui Lizzola è frazione). In mezzo c’è il Pizzo di Petto (mt.2.227) che può essere valicato a piedi attraverso il Passo di Manina. Ebbene, da qualche tempo sta prendendo forma un progetto per la “valorizzazione” turistica e sciistica dell’area attraverso la realizzazione di un tunnel che colleghi i due comprensori. Bucando evidentemente la montagna. Grazie a questa grande opera sciistica (potremmo forse coniare al proposito un nuovo acronimo: GOS), dunque lo sciatore potrebbe godere senza scendere dagli sci né perdere quota delle due aree di divertimento. Peccato che su questi tracciati, in gran parte tra i 1.800 e i 2.200 mt., cade sempre meno neve negli ultimi anni, anche durante le stagioni buone, e per periodi sempre più brevi…
Il progetto, il cui costo previsto è di 70 milioni di euro di cui 50 pubblici, sta muovendo solo i primi passi; sono comunque previsti, oltre agli estremamente invasivi lavori di perforazione per il tunnel di collegamento, sbancamenti, vasche di accumulo dell’acqua per l’innevamento artificiale, infrastrutture viarie, la dismissione delle funivie esistenti per sostituirle con una nuova.
Quello che però va qui segnalato è che appena la notizia ha fatto il giro dei paesi della valle la popolazione è insorta decisamente contro l’insensatezza di questo ipotetico mega-progetto, e così sul finire del 2024 la petizione lanciata dal locale collettivo Terre Alt(r)e[1] ha raggiunto rapidamente le 25.000 firme (!), mentre il 3 gennaio di quest’anno una prima assemblea pubblica, a Vilminore, ha raccolto oltre trecento persone che per quattro ore hanno seguito attentissime e preoccupate i relatori convocati da una rete di associazioni, tra e quali il CAI locale.[2]
I NUOVI IMPIANTI SUL MONTE SAN PRIMO (CO)
Il progetto denominato “Oltre Lario” è, se possibile, ancora più folle. Qui parliamo del monte San Primo, il rilievo più elevato del cosiddetto “Triangolo lariano”, ovvero di quel “triangolo” avente come vertici ideali Como, Lecco e Bellagio. Il massiccio montuoso supera di poco i 1.600 mt. e non ci ha mai nevicato troppo (oltretutto si tenga presente che quella zona risente dell’effetto mitigazione esercitato dal lago). In passato, comunque vi erano state costruite delle piste da sci con relativi impianti, da molto tempo abbandonati, secondo il destino comune a gran parte degli impianti a media altezza delle aree prealpine[3] (in verità non solo per ragioni climatiche, ma anche per cambiamenti degli stili di vita e delle pratiche turistiche).
Dal 2022, dunque, un progetto finanziato da Ministero dell’Interno, Regione Lombardia e Comunità montana del Triangolo lariano, e fortemente sostenuto dal Comune di Bellagio, prevede tra le altre cose la costruzione di un nuovo impianto sciistico sul Monte San Primo con ovviamente creazione di piste, cannoni sparaneve e un laghetto di accumulo per l’innevamento artificiale, tapis-roulants e una serie di parcheggi. Da subito una grande mobilitazione ha attraversato i paesi dell’area, dando vita al Coordinamento “Salviamo il Monte San Primo” (che riunisce decine di associazioni locali)[4] e che ha per ora ottenuto, se non altro, un “ripensamento” del progetto. Che però – denunciano di recente i sostenitori del coordinamento – non è cambiato in modo significativo e continua a impegnare oltre due milioni di euro dei cinque previsti per le opere legate, appunto, a questi nuovi, surreali, impianti sciistici.
Le associazioni temono che un simile progetto trasformi «la montagna lariana in un dispendioso luna-park, sperperando ingenti soldi pubblici per depauperare un territorio di grande pregio naturale e culturale». Tra le maggiori preoccupazioni, oltre al danno per un’area che è di grandissimo pregio naturalistico e inevitabilmente vocata a un turismo “dolce” (è il caso del percorso escursionistico noto come “Dorsale del Triangolo lariano” da Como a Bellagio), quella relativa agli impianti per il prelievo di acqua funzionali alla produzione della neve artificiale (la zona presenta carsismi e difficoltà nel prelievo di acqua per gli usi civili nelle lunghe estati siccitose di questi ultimi anni – ci manca questo prelievo extra del tutto insensato!).
Passando da vicende di portata locale a questioni più ampie, è evidente che queste tendenze si trovano nella concezione che sta alla base della progettazione delle future Olimpiadi invernali Milano-Cortina 2026, i cui lavori nei prossimi mesi conosceranno una forte accelerazione (il 6 febbraio scorso è stato infatti il “One year to Go”, la cerimonia ufficiale a un anno dall’inizio dei giochi). Anche in questo caso, dietro qualche rapida frase di facciata “green” (il sindaco di Milano Sala ha assicurato che i Giochi saranno molto «sostenibili» e che alla fine come ai tempi di Expo 2015 «saranno tutti contenti»[5] – ma tutti chi?), c’è una micidiale operazione di opere «essenziali» sparse a pioggia tra Lombardia e Veneto, che non faranno che lasciare i territori più sfigurati e cementificati. O meglio, i segni si vedono già.[6]
RIPENSARE LO SVILUPPO E I TERRITORI. A PARTIRE DALLE AREE MONTANE
Le due vicende che abbiamo richiamato – ma molte altre si potrebbero rintracciare – ci mostrano in definitiva come forti siano le tenenze conservative nel modo di pensare l’impresa, lo sviluppo e il turismo (è difficile uscire dal mito della crescita illimitata), ma come anche in questi ultimi decenni tante popolazioni, imprese, amministrazioni locali, intellettualità diffusa abbiano maturato una visione nuova, capace di pensare strade inedite e inaspettate per coniugare vita moderna e tutela dell’ambiente.
Le vicende e i luoghi che abbiamo visto parlano, tra l’altro, di quelle aree che sono state definite «montagne di mezzo», cioè quella media montagna che non presenta i caratteri della “eccellenza turistica” per come è comunemente intesa. È una «dimensione intermedia» – ha osservato in un libro intelligente il geografo Mauro Varotto – tra le montagne per antonomasia, specializzate «in direzione della modernizzazione turistico-industriale» e della «compensazione naturalistica»,[7] e le aree urbane industrializzate (anzi, “post-industrializzate”, se mi consente lo scherzo terminologico), caotiche affollate e inquinate. Aree dunque destinate, in questo modello di (mal)sviluppo ad abbandono e “regressione”, a invecchiamento e spopolamento. Contro questo “destino”, che in realtà è solo l’effetto di un ben preciso orientamento dello sviluppo territoriale basato sugli imperativi del profitto, è necessario ripensare ai modelli di telefrequentazione di una montagna panoramica a disposizione del tempo libero della popolazione urbana: serve una rivoluzione copernicana che non intenda più la montagna al servizio del turista o escursionista, ma l’escursionista e il turista al servizio della montagna.[8]
Vi è oggi in Italia, per fortuna, un vasto movimento, di pensiero, di opinione, ma anche di “pratiche di vita”) che si oppone fermamente a queste visioni incentrate su un mito della crescita economica che, applicato alle aree montane, appare perfino ridicolo. Un movimento che, peraltro, non può essere derubricato a “politica del no”, ma che al contrario intende dare un “altro futuro”, di economia alternativa, al mondo delle montagne che peraltro rappresenta oltre un terzo del territorio italiano. Tra i punti alti di questa riflessione troviamo, infatti, il Manifesto di Camaldoli, un documento elaborato al termine di un convegno nazionale svoltosi appunto a Camaldoli nel 2019,[9] dove si legge tra l’altro: L’idea che la montana lasciata alle forze della natura ritrovi da sola un equilibrio stabile – la cosiddetta ri-naturazione – è del tutto infondata. Come tutti i manufatti la montagna richiede manutenzione. In netto contrasto con i comportamenti odierni di tipo distruttivo e predatorio va riscoperta la tradizionale cultura del limite, che dovrà anche presiedere all’uso produttivo della terra, ai consumi di suolo e agli altri usi del territorio. (…)
Occorre dunque lavorare a uno scenario alternativo a quello della città che invade la montagna, della proliferazione delle seconde case, delle piste da sci sempre più dipendenti dall’innevamento artificiale e dal prelievo idrico. Nuovi modelli di vita, di socialità e di compresenza culturale richiedono un’alleanza fra anziani restanti, depositari di saperi contestuali, e “nuovi montanari” innovativi. Vi concorrono iniziative e nuovi strumenti come cooperative di comunità, ecomusei che attivano coscienza di luogo, osservatori del paesaggio, comunità del cibo, feste paesane “sagge”, forme attive e inclusive di valorizzazione delle minoranze linguistiche e di integrazione dei migranti.[10]
Un pensiero altro sulla e della montagna, da cui ci sarebbe molto da imparare. Anche qui in pianura.
NOTE
[1] https://terrealtre.noblogs.org/
[2] Si veda la puntuale cronaca di Radio Onda d’Urto: https://www.radiondadurto.org/2025/01/27/nuovo-comprensorio-sciistico-colere-lizzola-prosegue-la-raccolta-di-firme-contraria-e-in-preparazione-nuove-iniziative/. E qui il video dell’incontro del 3 gennaio a Vilminore, intitolato “Comprensorio sciistico Colere-Lizzola. Patrimonio di tutti o parco divertimenti per pochi?”: https://terrealtre.noblogs.org/post/2025/01/10/video-dellincontro-pubblico-comprensorio-sciistico-colere-lizzola-patrimonio-di-tutti-o-parco-divertimenti-per-pochi-organizzato-a-vilminore-il-03-01-2025/
[3] Nell’Appennino le cose vanno anche peggio, per ovvie ragioni climatiche: dei cento impianti esistenti la metà sono chiusi. E nonostante questo – ha osservato Giuliano Bonomi, naturalista dell’Università di Napoli che ha condotto su questa realtà un’ampia ricerca – «negli ultimi anni stiamo assistendo a un paradosso: sono proliferati i progetti volti a costruire nuovi impianti di risalita in tutto l’Appennino, grazie anche a finanziamenti in parte o totalmente pubblici» (cfr. Alessandro Pirovano, La montagna che non si arrende a “grandi eventi” e impianti sciistici senza futuro, “Altreconomia”, 5 febbraio 2025, https://altreconomia.it/la-montagna-che-non-si-arrende-a-grandi-eventi-e-impianti-sciistici-senza-futuro/).
[4] https://bellagiosanprimo.com/
[5] https://stream24.ilsole24ore.com/video/economia/milano-cortinasala-fascino-cinque-cerchi-dara-grande-visibilita/AGQg6qkC
[6] Per una presentazione d’insieme degli scempi che porteranno con sé le Olimpiadi invernali 2026, si veda Luigi Casanova, Ombre sulla neve. Milano-Cortina 2026. Il “libro banco” delle Olimpiadi invernali, Milano, Altreconomia, 2022. Qui il video della presentazione del libro alla Casa della Cultura di Milano, il 15 dicembre 2022: https://www.youtube.com/watch?v=RoMk-HK9s9c&t=10s. E per un aggiornamento, l’articolo di Duccio Facchini, “L’impronta olimpica”: le opere di Milano Cortina 2026 dall’alto,“Altreconomia”, n. 278 / febbraio 2025, p. 21-25, che documenta, foto satellitari alla mano, gli effetti tutt’altro che “sostenibili” sui territori interessati dalle opere olimpiche.
[7] Mauro Varotto, Montagne di mezzo. Una nuova geografia, Torino, Einaudi, 2020, p. 165.
[8] Ivi, p. 167-68.
[9] Il manifesto è stato approvato al termine del convegno nazionale “La nuova centralità della montagna” (Camaldoli, 8-9 novembre 2019), e si trova in Luigi Casanova, Avere cura della montagna. L’Italia si salva dalla cima, Milano, Altreconomia, 2020, p. 29-36.
[10] Ivi, p. 32-33.
Autore
-
Laureato in filosofia, si occupa di questioni politiche e economico-sociali con gli strumenti della teoria critica e in una prospettiva eco-socialista. Ha pubblicato articoli e saggi su varie riviste e siti web, tra i quali “Marxismo oggi”, “Giano”, “L’ospite ingrato”, “Volere la luna”, “FormaCinema”. Sul sito ideeinformazione.org, espressione dell’omonima associazione politico-culturale, analizza e commenta dal 2022 l’inquietante deriva bellicista di un Occidente tanto pieno di armi quanto privo di idee: https://www.ideeinformazione.org/author/toni-muzzioli/ Ed è un peccato, perché ci sono cose che meriterebbero di più.