Se l’instabilità del pharmakon non è un nostro problema, quel che sembra distinguerci al contrario […] è l’intolleranza della nostra tradizione di fronte a questo tipo di situazione ambigua e l’angoscia che suscita. È necessario un punto fermo, un fondamento, una garanzia. È necessaria una differenza stabile tra il medicamento benefico e la droga malefica, tra la pedagogia razionale e il condizionamento suggestivo, tra la ragione e l’opinione” (Stengers, 2005: 40-41)

 

Se volessimo analizzare la farmacovigilanza tenendo in considerazione le parole di Stengers qui in epigrafe, potremmo ritenerla uno strumento volto a stabilizzare farmaci: distinguere vantaggi e pericoli sembra essere obiettivo precipuo di questa pratica. Ciò è ancor più evidente se ci riferiamo alla vaccinovigilanza. Scindere ciò che è benefico da ciò che risulta dannoso appare particolarmente opportuno nel caso dei vaccini: anche i documenti ufficiali rilevano che, in questo caso, “poiché la popolazione target è rappresentata prevalentemente da soggetti sani, per la maggior parte di età pediatrica, il livello accettabile di rischio è inferiore a quello degli altri prodotti medicinali. […] Queste peculiarità dei vaccini rendono necessarie attività di farmacovigilanza post-marketing che vadano oltre quelle routinarie, al fine di monitorare e valutare adeguatamente gli eventuali rischi” (AIFA, 2017:4). Tuttavia, nonostante i vaccini siano considerati tra i prodotti più controllati nel panorama farmacologico, abbiamo già avuto modo di esplorare come le pratiche di vaccinovigilanza siano dispositivi socio-culturali complessi (Lesmo, 2025).

Di fatto, i dubbi in merito a possibili correlazioni causali tra alcuni vaccini e determinati eventi avversi sembrano affiorare tra i professionisti. Nel corso della ricerca etnografica da me condotta sul tema tra il 2017 e il 2021, è emerso come diversi medici abbiano preso in considerazione in più occasioni questa ipotesi. Ciò è stato rilevato in vario modo. Non solo alcuni di essi hanno suggerito ai genitori di bambini con possibile danno da vaccino l’ipotesi di una correlazione, per poi spesso negarla dopo poco (secondo quanto i genitori mi hanno riferito).  La presenza di simili “dubbi” è stata poi esplicitata direttamente da alcuni medici da me intervistati, che ne hanno approfondito criticità e problematiche durante i colloqui. Oltre a queste testimonianze di prima mano,  alcuni libri,  pubblicazioni e lettere scritte da medici specialisti hanno proposto pubblicamente di re-interrogare la sicurezza e/o l’efficacia delle pratiche vaccinali in corso. Alcuni tra questi professionisti sono stati in seguito interpellati, richiamati, sospesi o finanche radiati dai rispettivi ordini, evidenziando una zona di tensione particolarmente evidente che intercorre tra il sapere vaccinale e la pratica medico-clinica. È dunque estremamente rilevante interrogare la relazione complessa che lega vaccinazioni, pratica biomedica e professionisti della cura. Come si costruiscono vicendevolmente questi rapporti? Quali obiettivi, più o meno consapevoli, essi si prefiggono?

“UNKNOWN KNOWNS”: CONOSCENZE SCONOSCIUTE

Bisogna però dire che attualmente le indicazioni della medicina occidentale accademica hanno una tendenza a non mettere in correlazione patologie avverse con la vaccinazione, proprio perché la tendenza è quella di dare un valore solo positivo alla vaccinazione escludendo tutti gli elementi negativi.

Questo è quanto afferma un medico da me intervistato quando riflettiamo insieme sul rapporto rischio/benefici associati ai vaccini. L’esclusione di alcuni elementi dalle pratiche di costruzione del sapere è un elemento intrinseco ad ogni epistemologia. Se già Foucault (2004) aveva illustrato come molteplici procedure di esclusione agissero nel dare consistenza a un discorso, conferendogli uno statuto di verità attraverso interdetti, evitamenti ed elisioni, questi temi sono stati ri-articolati successivamente da molti altri studiosi. Tra questi, l’antropologo Michael Taussig si è riferito al “lavoro del negativo” per evidenziare come “sapere che cosa non sapere” sia un passaggio fondamentale in molti processi socio-culturali oltre che epistemologici. Secondo quanto osserva Taussig, il “lavoro del negativo” nei singoli contesti di riferimento è così profondo che “pur riconoscendolo, pur nello sforzo di liberarci dal suo abbraccio vischioso cadiamo in trappole ancora più insidiose che ci siamo autocostruiti” (Taussig, 1999:6). Difficile è dunque acquisire consapevolezza in merito a talune esperienze note eppur sottese, che a volte fondano vere e proprie imprese epistemiche e sociali. Geissler, antropologo sociale, ha ripreso nei suoi studi il concetto ossimorico di “conoscenze sconosciute” [“unkwnown knowns”] (Geissler, 2013: 13) per evidenziare quanto queste possano talvolta aprire la strada a determinate pratiche di ricerca e/o di cura: il confine tra sapere e non-sapere risulta così estremamente labile.

Anche in ambito vaccinale sembra che alcune esperienze vengano talvolta “espulse” dall’orizzonte conoscitivo – quasi sulla soglia della consapevolezza – per rendere le pratiche di immunizzazione possibili. Una pediatra intervistata, con cui riflettiamo sulle posizioni discordanti sul tema in ambito biomedico, mi spiega:

Allora, ci sono secondo me alcuni vaccini su cui… effettivamente ci può essere una discussione, perché effettivamente non mettono a rischio la società, no? Ci sono dei vaccini invece per cui questa cosa qua si mette a maggior rischio e allora… […] Ci sono dei caposaldi che… che secondo me sono intoccabili.

In questo frammento di discussione, parte di uno scambio molto lungo e articolato, la pediatra evidenzia come certi dubbi non possano essere sollevati – a meno che non siano già sostanziati da studi scientifici solidi ed epidemiologicamente fondati. I dubbi così sommersi – questi sospetti silenziati – sembrano in qualche misura concretarsi anche nell’eliminazione simbolica, operata attraverso sanzioni disciplinari di vario genere, dei medici che tentano di palesarli. Quando interpellata in merito a tali sanzioni, un’altra pediatra intervistata ha ribadito come ciò fosse indispensabile, e finanche rassicurante, poiché la vaccinazione “è la base della medicina moderna” e “se un medico non crede ai vaccini, soprattutto un pediatra – e soprattutto alle vaccinazioni pediatriche… forse ha sbagliato campo”.

STABILIZZARE IL SAPERE BIOMEDICO

Per molti professionisti della cura, dunque, la fiducia nella vaccinazione sembra essere precondizione della stessa professione medica. Ciò è stato spesso attribuito al particolare statuto che le vaccinazioni risultano avere in biomedicina: per riprendere le espressioni qui proposte, esse sarebbero un “caposaldo”, se non “la base della medicina stessa”. Sembra così adeguato riprendere quanto asserito da Isabelle Stengers (2005) in relazione alla stabilizzazione di un sapere, che si intreccia saldamente con ciò che la studiosa definisce “reciproca cattura”, o “inter-presa”. La “reciproca cattura” è quel legame che vincola due entità attraverso la creazione di un valore reciproco. Secondo Stengers, tale cattura si attiva nel momento in cui due identità si costruiscono e si legittimano vicendevolmente. In questo caso il ruolo del medico sembra consolidarsi anche in base alle considerazioni che egli associa ai vaccini: sostenere sicurezza ed efficacia delle vaccinazioni in uso – “credere” nei vaccini come asserito più sopra – dimostra la competenza e la credibilità dei professionisti. Nel contempo, tuttavia, le pratiche vaccinali sono rinsaldate proprio dalla fiducia accordata loro dai medici, le cui competenze ne garantiscono l’affidabilità. Ciò produce un’ulteriore antinomia: i medici – ossia gli specialisti competenti che potrebbero eventualmente porre dubbi sui vaccini – non riescono a farlo, pena la perdita della propria credibilità sul campo. Questa circolarità non è però priva di uno scopo: come si può desumere dalle considerazioni sopra proposte, essa assolve un compito ben preciso, ossia la stabilizzazione del ruolo dei vaccini, attraverso la rimozione dell’ambivalenza ad essi intrinseca: scindendo, cioè, il potere di proteggere da quello di ferire. Se poi il vaccino diviene espressione del successo biomedico, allora è la biomedicina tutta che viene in questo modo rinsaldandosi. Come osserva Stengers, tuttavia, proprio l’“ossessione di differenziazione che ci contraddistingue” (ivi:43) può divenire pericolosa: essa rischia di conferire a certi oggetti epistemici “un potere che non hanno” (ibidem). Rilevare ed esplorare il “lavoro del negativo” in opera diviene dunque cruciale per cogliere le forme di “instabilità” esistenti e trovare modi alternativi di relazionarvisi.

 

 

BIBLIOGRAFIA

AIFA, 2017, “La vaccinovigilanza in Italia: ruolo e obiettivi”, https://www.aifa.gov.it/sites/default/files/La_Vaccinovigilanza_in_Italia_18.04.2017.pdf

Foucault M., 2004, L’ordine del discorso e altri interventi, Torino: Einaudi.

Geissler P. W., 2013, Public Secrets in Public Health: Knowing not to Know while Making Scientific Knowledge, “American Ethnologist”, Vol. 40 (1):13-34.

Lesmo I, 2025, “Ecologie delle evidenze in vaccinovigilanza: quali esperienze (non) si trasformano in conoscenza?”, Controversie-Ripensare le scienze e le tecnologie, 2025,4, https://www.controversie.blog/vaccinovigilanza/

Stengers, I., 2005, Cosmopolitiche, Roma: Luca Sossella Editore.

Taussig M., 1999, Defacement: Public Secrecy and the Labor of the Negative, Stanford University Press, Stanford.

Autore

  • Ilaria Eloisa Lesmo, antropologa, è attualmente docente di Antropologia medica e psicologica presso il Dipartimento di Culture, Politica e Società dell’Università di Torino e assegnista presso lo stesso Dipartimento. Tra i suoi interessi di ricerca vi sono le pratiche di produzione del sapere nell’ambito della biomedicina e della salute mentale, con particolare attenzione alle condizioni rare, ai MUS (Medically Unexplained Symptoms) e alle forme di sofferenza mentale.

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