Nel passaggio mai definitivo dal regno della credenza e della superstizione a quello del sapere laico, razionale e scientifico, ha avuto un ruolo cruciale la progressiva sfiducia nei confronti delle pratiche magiche e religiose, sacrificio compreso. Meno acclarato è il fatto che, nel secolare mondo occidentalizzato, le antiche istanze di homo “sacer” riemergono volentieri sotto mentite spoglie, camuffate da rituali emancipati e tecnologicamente avanzati. In realtà, esse non ci hanno mai abbandonato, in barba alle distinzioni tra sacro e profano, alle diatribe sul primato di struttura e sovrastruttura, al senso della storia in quanto lineare processo di secolarizzazione. Attraverso una moltitudine di pratiche quotidiane apparentemente neutre si rinnovano culti rivolti a divinità misconosciute, le quali donano e tolgono la vita come ogni divinità che si rispetti. Non si tratta di cedere alle fallacie dell’analogia, tali per cui il presente storico è reso anacronistico da una sovrapposizione efficace ma surrettizia con il mondo arcaico. Al contrario, occorre prendere coscienza che tra sacro e laicità non passa alcuno iato necessario. Senza scomodare casi probatori eclatanti quali lo sforzo ingegneristico nazista o l’attacco alle Torri Gemelle, è alla quotidianità che occorre guardare per scongiurare il bias dell’evento, il quale rischia di relegare il sacro contemporaneo all’eccezione in un quadro di normalità. Tre esempi tratti dalla vita di tutti i giorni restituiscono la nemesi in oggetto.
Il centro commerciale
L’isolato centro commerciale, a cui giungono in pellegrinaggio migliaia di devoti ogni giorno, non rappresenta affatto un “nonluogo”. Si tratta, invece, di un’area sacra votata all’odierna religione del consumo. Tempio e Granaio, tradizionalmente distinti, hanno finito per coincidere senza avvicendarsi. Oggi come un tempo, la divinità dona prosperità in cambio di prelievi di sostanza vitale. In luogo del sangue sacrificale, scorre copioso il risparmio finanziario. Se i sacerdoti dei vari templi amministrano offerte equivalenti, i Numi si spartiscono i reparti: ad Afrodite quello della bellezza, a Dioniso i vini e liquori, a Demetra il settore ortofrutticolo, ad Asclepio i prodotti farmaceutici, a Efesto quelli tecnologici, ad Apollo le dispense musicali, ad Atena le librerie, e così via per le varie divinità. Contrassegnate ciascuna dai rispettivi marchi di fabbrica, scambiano le loro merci divine con pellegrini giunti a omaggiarle sulla scia della pubblicità, l’equivalente laico della propaganda religiosa. I doni “in offerta”, degni delle ossa taroccate di Prometeo rifilate alla divinità, ingannano consumatori evidentemente indiati. I sacrifici animali veri e propri, celati sotto l’eufemistica promessa di “carne”, avvengono in un altrove così inattingibile, da evitare di contaminare l’area sacra anche solo con l’immaginazione. Ciò denota ulteriormente il desiderio di identificazione del consumatore con le divinità che viene a venerare, le quali tuttavia sono parzialmente a portata di mano, ché altrimenti non potrebbe tendervi. Rinnovare il gesto d’appropriazione identificante, moltiplicarlo per ogni reparto e condividerlo con l’intera comunità, è renderlo rituale.
I mezzi di trasporto
Un’altra divinità misconosciuta è quella delle quattro ruote. Ad essa sono immolate quotidianamente migliaia di vittime in tutto il mondo, umane e non. Il quadrupede della velocità, munito di occhiacci luminosi e prognatismo aerodinamico, è avido di sangue quanto una divinità Azteca. Gli altarini sui cigli delle strade ne sono fedele testimonianza mentre i non umani, si sa, non omaggiano i malcapitati. Gli incidenti da mezzi di trasporto sono tali solo agli occhi di spiriti non avvezzi al sacro ineluttabile. Ancorché inconsci, si tratta di sacrifici umani in piena regola, con le vittime scelte a sorte secondo un copione sacrificale noto e documentato. Non solo i candidati all’immolazione non sono disposti a rinunciare al culto della velocità, ma molti di loro si offrono entusiasti al dio calcando l’acceleratore oltre misura, sovente aiutati dalle stesse sostanze psicoattive che usavano nell’autosacrificio arcaico. Si osserva giustamente come i giovani d’oggi più non pratichino i riti di passaggio all’età adulta, ma si dimentica di aggiungere che sballo e velocità rivestono esattamente tale funzione. Il calcolo utilitaristico dovrebbe convincere iniziati e navigati che la loro fede universalistica va mietendo più vittime delle due guerre mondiali messe assieme, eppure tale verità scandalosa permane inopinata nel diniego collettivo. Ai morti sull’asfalto si sommano quelli di aerei, navi, sottomarini, treni, funivie: un pantheon di divinità zoomorfe adattate ai loro habitat specifici. Se la convergenza evolutiva contempla i veicoli umani, al dio della velocità volentieri si accompagna la dea di altezza e profondità, detta Ubiquità. Così alcuni si schiantano a bordo di uccelli metallici stipati di guano infiammabile, mentre altri si inabissano dentro cetacei a motore che non riemergeranno più, o più prosaicamente scivolano nelle tane degli ascensori.
Archeologia della morte
Un terzo esempio di revival sacrale è dato dall’archeologia della morte. Una volta si andava sottoterra a seppellire i propri cari in loculi più o meno accoglienti, in un misto di nostalgia e terrore che potessero ritornare tra i vivi colmi di risentimento, tanto che prima di sigillare l’accesso venivano forniti di ogni comfort. La nostalgia odierna, viceversa, usa disseppellire quegli stessi resti per riportarli in vita. C’è perfino chi si adopera in preistorici contorcimenti volti a espugnare recessi ancestrali scelti appositamente per l’oblio. L’iter speleologico è identico, ma a ritroso; le torce elettriche. Il ritorno dei morti viventi non fa più paura e anzi sono i benvenuti, quantomeno dal XIX secolo in giù. Antenati immortali lo divengono nuovamente sub specie di mummie e scheletri di progenitori sottoposti all’imperitura ammirazione del pubblico nei musei di storia e scienze naturali. Qui i devoti sono acculturati, la religione ufficiale è quella del sapere storico e scientifico. La collocazione delle suppellettili a fianco delle reliquie è bene che sia la stessa di sottoterra, così la cura certosina nel disporle. Le teche di vetro echeggiano per contrasto l’oscurità delle camere sepolcrali, il controllo dell’umidità è affidato a guardiani tecnologici, i neon evocano la luce dell’aldilà. Un perfetto rovesciamento del culto precedente, allorché erano gli inferi a dover specchiare il mondo supero.
Provvidenza, Immolazione, Velocità, Ubiquità e, dulcis in fundo, Immortalità, sono contrassegni inconfondibili della divinità. Ulteriori marcatori sacrali, per altrettanti culti della contemporaneità, sono rinvenibili nelle odierne società tecnologiche. Rimandiamo la loro investigazione a successivi appuntamenti.
Autore
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Laureando in scienze filosofiche all’Università degli Studi di Padova, si definisce un realista prospettico. Per lui la verità, in filosofia come nelle scienze, è una questione di prospettive vincenti, comprese quelle all’inizio date per sfavorite o rivelatesi alla lunga perdenti. Ama ragionare di epistemologia macinando pedalate sulla Martesana.
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