Nella prima parte di questo percorso abbiamo esaminato i meccanismi algoritmici che avrebbero dovuto guidare il Governo Conte nelle decisioni sull’allentamento delle misure restrittive e di contenimento del contagio da SARS-CO-V-2.
Ora possiamo fare un passo in avanti nell’analisi critica degli strumenti di valutazione e sul loro ruolo nelle decisioni del Governo.
CONSISTENZA DEGLI INDICATORI
Nell’intenzione del Ministero della Salute e del Governo – e del Comitato Tecnico Scientifico che ha messo a punto i criteri e gli algoritmi – questi strumenti di valutazione del contagio e delle possibilità di contrastarlo dovrebbero essere il più possibile esatti, coerenti, oggettivi e indipendenti dalle interferenze politiche, e guidare il governo in modo sicuro e incontrovertibile verso la decisione “scientificamente” più corretta.
Di fatto, invece, il sistema di valutazione presenta delle aree di criticabilità metodologica, dei punti di debolezza e di incoerenza – soprattutto considerando il particolare momento in cui deve essere utilizzato – e risente di alcune evidenti influenze di tipo storico, sociale e politico che ne minano le attese di esattezza, oggettività e indipendenza.
Tra queste criticità, spicca che alcuni degli indicatori della capacità di monitoraggio[1] sono statisticamente poco indicativi in un momento in cui la capacità diagnostica è fortemente sottodimensionata. In questo particolare periodo la propensione italiana alla diagnosi con tampone è tra le più basse d’Europa (pur con una percentuale di positivi molto più alta degli altri paesi). Parliamo di una media di soli 88 tamponi per 100.000 abitanti al giorno.[2] Ne viene particolarmente inficiato il riferimento alla percentuale di casi segnalati con indicata la data di inizio dei sintomi e/o il comune di domicilio del caso stesso. Quello che questo indicatore misura effettivamente è un sottoinsieme non rappresentativo della situazione reale.
Un discorso simile vale per gli indicatori sulla capacità di accertamento diagnostico., in particolar modo per quelli relativi ai tempi tra inizio dei sintomi, diagnosi e isolamento. Per le ragioni appena viste di scarsa propensione “al tampone”, il numero di diagnosi effettuate e segnalate è sicuramente molto inferiore ai casi realmente presenti sul territorio; d’altro canto, l’indicatore – in questo periodo – non può che essere “fuori soglia”, a causa del meccanismo per lo più carente di prescrizione, prenotazione ed esecuzione del test diagnostico, che dilata enormemente i tempi tra inizio dei sintomi e diagnosi.
Un altro punto di caduta è rappresentato dagli indicatori sull’impegno di personale dedicato al tracciamento e al monitoraggio dei contatti oltre che alle operazioni di prelievo e invio dei test ai laboratori Un impegno che dovrebbe essere in linea con raccomandazioni Europee relative agli standard su numero, tipologia e ore di lavoro.
Un indicatore metodologicamente confuso, poiché mette insieme “mele con pere” (le mele sono l’impegno di contact-tracing, le pere l’impegno di gestione del processo di invio ai laboratori), con contorni poco chiari: il termine tipologia figure professionali è di difficile interpretazione in assenza di un elenco chiuso e condiviso di tipologie; il valore di riferimento per l’impegno pari a 1 operatore equivalente ogni 10.000 abitanti[3] (verbalizzato al CTS il 29 di maggio) cioè almeno 750 operatori per la sola area del milanese, ma, di nuovo, senza indicazioni su che tipologie di figure professionali debbano essere impiegate.
Inutile parlare della percentuale di casi confermati di infezione nella regione per cui sia stata effettuata una regolare indagine epidemiologica con ricerca dei contatti stretti: è un indicatore importante ma decisamente fuori contesto nella situazione di aprile – maggio 2020, in cui il Sistema Sanitario rincorre a distanza con i pochi mezzi disponibili l’evolversi del contagio. Lo stesso vale per i parametri di trasmissione che implicano l’analisi dei focolai e delle catene di trasmissione. Entrambi gli indicatori risultano incongrui nella situazione di aprile e maggio 2020.
Gli indicatori sulla stabilità della trasmissione sembrano essere più consistenti e aderenti al contesto: in linea generale, il trend dei casi segnalati alla Protezione Civile e al sistema integrato di sorveglianza sono sicuramente rappresentativi dell’andamento del contagio, anche se probabilmente sottostimano il fenomeno e risentono – nella componente di temporalità – dei difetti procedurali già visti. L’indicatore dei casi segnalati alla Sentinella COVID-Net è opzionale e – di fatto – non attuato, come non sembra essere mai stata attuata la rete-sentinella.
Un discorso a parte andrebbe fatto – ma non è questa la sede – per il parametro Rt, uno strumento che sembra essere metodologicamente valido solo se i significati di alcuni suoi parametri[4] vengono usati con cautela.
UNA QUESTIONE DI POLITICA SANITARIA: GLI INDICATORI DI OSPEDALIZZAZIONE
Nel terzo gruppo di indicatori – quello dei parametri di trasmissione e di tenuta dei servizi sanitari, troviamo il Tasso di occupazione della Terapia Intensiva, con la soglia accettabile del 30%, e il Tasso di occupazione dei posti letto in Area Medica per pazienti COVID-19, con una soglia di accettabilità del 40%. Questi due parametri sono sintomatici dell’approccio di ospedalizzazione che caratterizza la gestione del contagio in Italia: quello che preoccupa il CTS e il Ministero è se gli ospedali sono in grado di sostenere il flusso di malati da ricoverare, ignorando completamente – anche negli indicatori oltre che nella pratica – il ruolo della medicina territoriale, della terapia domiciliare (attuata solo sporadicamente in poche regioni) e della relativa sorveglianza. Di fatto, chi è malato e ha sintomi preoccupanti deve andare in ospedale; chi, invece, è malato e non va in ospedale è sostanzialmente lasciato a sé stesso; non è interessante – per la valutazione dell’andamento della pandemia – avere dati sulla consistenza del presidio medico territoriale e domiciliare: il focus è l’ospedale.
INCOERENZE INTERNE DEL SISTEMA DI VALUTAZIONE E DI ALLERTA?
È curioso notare che l’algoritmo di valutazione del rischio è contenuto nello stesso documento dei 21 indicatori puntuali e di trend, ma – in realtà – fa riferimento solo al terzo gruppo di indicatori, quelli sulla trasmissione del contagio e sulla tenuta della risposta sanitaria (ospedaliera, s’intende) e include dei criteri di valutazione che esulano dai 21 indicatori – ad esempio, la gestibilità o meno della diffusione con “zone rosse” localizzate, oppure l’età (oltre i 50 anni) dei soggetti contagiati.
Lo sviluppo dell’algoritmo di calcolo del livello di rischio – nonostante sia un sistema di allarme per la “marcia indietro” verso misure di controllo più rigorose – sembra essere slegato da due terzi degli indicatori e assai riduttivo rispetto a quello per valutare la possibilità di transizione alla Fase 2.
Sembra che l’allerta e la marcia indietro tengano conto della sola misura dei fenomeni e non della loro misurabilità; come dire: non importa se i dati non sono affidabili, si decide su quelli.
D’altra parte, è pur vero che il sistema di calcolo prevede che – in caso di difficoltà o scarsa affidabilità delle misurazioni – ci si attesti su una condizione di rischio elevato e si imponga la “marcia indietro”.
In conclusione, dall’esame di dettaglio, si evidenziano numerosi punti deboli, in sintesi:
- scarsa indicatività statistica di una buona parte degli indicatori relativi alla capacità di monitoraggio e di accertamento diagnostico
- incongruenza di altri indicatori rispetto al contesto in cui sono applicati e, quindi alla loro effettiva utilizzabilità
- visione focalizzata sulle procedure di ospedalizzazione dei parametri di tenuta dei servizi sanitari e assistenziali
- incoerenza di alcuni passi dell’algoritmo di valutazione del rischio rispetto all’insieme di indicatori di processo e di risultato e la scarsa integrazione tra i due algoritmi
SIAMO DI FRONTE AD UN CASO DI SCIENTIFIZZAZIONE DELLA POLITICA?
Lo strumento di valutazione del tasso di rischio e delle condizioni di possibilità della transizione alla Fase 2, che il Comitato Tecnico Scientifico fornisce al Ministero della Salute e al Governo, composto dal set di 21 indicatori e dai due algoritmi, è molto articolato, apparente non troppo complesso da maneggiare e sembra cogliere un range ampio e abbastanza completo di punti di attenzione per la valutazione dello stato del contagio. La sua struttura rispecchia gli obiettivi di esattezza, coerenza, oggettività e indipendenza dalle interferenze politiche e sociali, per guidare l’azione politica in modo sicuro verso decisioni “scientificamente” corrette.
È chiaro che si tratta di un caso di tentata scientifizzazione della politica:
- le decisioni – se viene usato lo strumento per come è costruito – possono essere appaltate alla “scienza” e non tenere conto di variabili socialmente rilevanti quali, per fare un esempio, le esigenze di continuità del reddito o di socializzazione
- le indicazioni dello strumento sono basate su indicatori molto generali, che non tengono conto della stratificazione di età, di condizioni di salute (fa eccezione il > 50 anni dell’algoritmo della probabilità) e sociali.
- La visione dell’intervento è ristretta alla dimensione di ospedalizzazione e ignora tutti fenomeni e le possibilità di intervento e di azione sul territorio
- La scarsissima condivisione pubblica della strumentazione di osservazione e algoritmica, disponibile solo a prezzo di una ricerca approfondita tra i Decreti e i relativi allegati, denuncia una scarsa propensione della “scienza ufficiale” alla discussione pubblica.
In questo quadro, la “scienza medica ed epidemiologica” apparentemente neutrale ed oggettiva ma, come abbiamo visto, orientata alla semplificazione dei fenomeni, cieca alle sue dimensioni sociali e storicamente focalizzata sull’ospedalizzazione, sembra “catturare e guidare” la politica, portando i decisori ad abdicare al loro ruolo guida.
Tuttavia,
- le debolezze del sistema di misurazione, che lo rendono una cattedrale teoretica nel deserto epistemologico della pandemia del primo semestre 2020, con utilizzabilità estremamente limitata, salvo accontentarsi dei pochi indicatori effettivamente misurabili,
- e la mancata applicazione della regola che avrebbe imposto lo stop alla transizione a causa della valutazione di rischio elevato in caso di non misurabilità degli indicatori
hanno favorito un maggiore grado di libertà e di movimento da parte dei decisori politici.
Il governo italiano e il Presidente del Consiglio Conte hanno, infatti, dimostrato – forse solo nel caso delle riaperture del 4 e 18 maggio 2020 – di riuscire ad essere svincolati[5] dalla scientifizzazione e hanno deciso, di fatto, sulla base di una aperta dialettica tra le istanze morali della salute da un lato e della sopravvivenza economica dall’altro.
Le riaperture “limitate” del DPCM del 26 aprile[6] e il relativo controllo dello stato dei contagi sono state, quindi, il risultato di compromesso tra le istanze normative della medicina e la sintesi tra le due posizioni di stampo decisamente politico del governo e delle opposizioni[7].
NOTE
[1] Ad esempio, la percentuale di casi segnalati con indicata la data di inizio dei sintomi e/o il comune di domicili
[2] Cfr. Analisi Gimbe dei tamponi effettuati dalle Regioni nel periodo 22 aprile – 6 maggio 2020, in Franco Pesaresi, Tamponi: quanti se ne fanno e quanti ne servono, Welforum, Osservatorio Nazionale sulle politiche sociali, 14 maggio 2020
[3] Fonte: Verbale n. 83, 29 maggio 2020, Riunione del Comitato Tecnico Scientifico, Dipartimento della Protezione Civile
[4] la relativa isteresi rispetto al fenomeno, i problemi di distorsione del ricordo dell’insorgenza dei sintomi, la sua dubbia significatività per dare atto della velocità di diffusione o della virulenza di un agente infettivo in contesti di densità di popolazione diversa
[5] Questa conclusione non tiene in considerazione le decisioni del periodo successivo, in particolare quelle relative alle campagne di vaccinazione e al green pass, capitoli molto delicati sul tema della subordinazione della politica alla scienza.
[6] Si veda qui il testo del DCPM 26 aprile 2020
[7] Ne parlo diffusamente nella mia Tesi Magistrale Le scelte morali del governo italiano durante la prima parte della crisi pandemica del 2020.
Autore
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Laureato in Scienze Filosofiche all’Università degli Studi di Milano e manager. Scrive appunti sul rapporto tra scienze, tecnologie e morale anche quando pedala come un pazzo, la domenica mattina. A volte dice di lavorare.