Il 20 gennaio 2025, Donald J. Trump ha pronunciato il suo discorso presidenziale durante la cerimonia di insediamento come 47esimo presidente degli Stati Uniti. Fra i tanti propositi espressi, c’è quello di mettere fine alla «alla politica governativa di manipolare socialmente genere e razza. Da oggi, la politica ufficiale del governo degli Stati Uniti sarà che ci sono solo due generi: maschi e femmine» . Si è dimenticato che esistono gli intersex e che la materia è molto più complessa. Ma si sa, politici e giornalisti sono noti per banalizzare questioni serie e stravolgere la realtà.

In alcuni post precedenti (La costruzione di una identità, prima parte – Sesso (biologico), genere (sociale) e orientamento sessuale: 3 concetti non sovrapponibili, Seconda parte – Il sesso nell’antichità, Individuare il sesso, una storia infinita, e Cosa succede quando si nasce intersessual*?), abbiamo analizzato come nel campo biomedico si è costruito (nel tempo) il sesso biologico e diversi casi controversi nell’attribuzione dell’identità sessuale. L’antropologia, poi, è un campo privilegiato per conoscere come (in molte culture) l’identità sessuale sia uno “spettro” (nel senso di un fascio policromatico, un raggio d’azione, un range) più che un’ontologia dicotomica o binaria. Siamo quindi giunti alla conclusione che il sesso biologico è un puzzle costituito da molteplici tessere: cromosomi, marcatori genetici molecolari, dotti riproduttivi, gonadi, ormoni, organi riproduttivi per la loro funzione, genitali per la forma e funzione, pubertà (intesa come flusso ormonale secondario) e funzioni riproduttive incluse (ma non unicamente), produzione del seme, inseminazione, gestazione e caratteristiche sessuali secondarie quali sporgenza della cartilagine tiroidea che circonda la laringe (o pomo d’Adamo), crescita dei capelli, rapporto tra massa grassa e muscolare, crescita mammaria, voce, sesso psicologico, educazione ecc. L’intersessualità, nella larga maggioranza dei casi, non incide in modo significativo sulla salute della persona. E i genitali sono, quindi, soltanto una parte del corpo, che varia da persona a persona, come i nasi o le orecchie o altre parti del corpo. L’aspetto e loro dimensioni non sono determinanti per l’attribuzione sessuale.

LA MANIA DELLE CLASSIFICAZIONI

Al di là delle varie (controversie) metodiche per attribuire il sesso a una persona, forse vale la pena chiedersi: ma perché è così importante stabile se quello davanti a me è un maschio o una femmina (ammesso che lo si possa determinarlo così facilmente)? Qual è lo scopo di una classificazione?

Il sociologo Harold Garfinkel, il padre dell’etnometodologia , sosteneva che  qualsiasi categorizzazione (o il collocamento di un oggetto/pianta/animale/persona in un tipo) è una costrizione, sempre relativa perché stabilita in relazione agli scopi pratici (“for all practical purposes”) di coloro che classificano[1]. In altre parole, non c’è nulla nella referente osservata che indichi a quale categoria essa debba necessariamente appartenere. Una posizione anti-essenzialista, che condivide con la filosofia taoista dove non esistono valori assoluti, enti fissi o immobili, esseri o cose a sé stanti, come invece le categorie vorrebbero.

Per cui, ogni volontà di classificazione risponde a una necessità pratica. Nello sport, dove in tempi recenti sono stati sollevati i casi dell’ostacolista spagnola Maria José Martínez-Patiño, della mezzo-fondista sudafricana Caster Semenya, della calciatrice zambiana Barbra Banda e (pochi mesi fa) della pugile algerina Imane Khelif (vedi Individuare il sesso, una storia infinita), lo scopo sarebbe di porre tutte e tutti nelle medesime condizioni di partenza. Che è un’assurdità, perché non siamo tutti e tutte uguali, neanche… alla partenza. Giancarlo Antonioni (grande n. 10 della Fiorentina) non era uguale a Pelè (n. 10 del Santos). Lo scontro, se fosse stato un duello individuale, sarebbe stato impari. Come lo fu, nel 1970 e 1971, tra Carlos Monzon e Nino Benvenuti. Eppure stavano nella stessa categoria (pesi medi).

Inoltre, se la differenza tra uomini e donne fosse così netta, come mai certe tenniste (ma l’esempio lo si può fare per tutti gli sport) possono benissimo battere certi tennisti? Non ci sono solo il testosterone o 1 coppia cromosomica a fare la differenza, ma una molteplicità di altre variabili. Che sfuggono alle categorizzazioni, che le categorie non riescono a gestire. Il pugile Primo Carnera combatteva con quelli del suo peso, eppure forse aveva un vantaggio datogli da una presunta malattia genetica (l’acromegalia), in cui l’eccessiva produzione di ormone della crescita (Growth Hormone, GH) indotto spesso da un adenoma dell’ipofisi produce una serie di modificazioni degli arti e dei tratti facciali (anche il campione statunitense di wrestling André The Giant sembra esserne affetto). Attorno alle atlete sopra ricordate nacquero molte polemiche (che produssero anche squalifiche). Eppure loro erano nate così. Invece il velocista sudafricano Oscar Pistorius non era nato con le protesi in fibra di carbonio; eppure dal 2008 fu ammesso a gareggiare con i (cosiddetti) normodotati.

Ma non perdiamo la domanda di partenza: qual è la necessità pratica che presiede questa particolare necessità di classificazione binaria (maschi e femmine) nello sport? La competizione. Stabilire chi è il migliore, chi è il primo, chi è il più bravo. Lo scopo (eminentemente pratico) è solo questo. Non ci sono altre ragioni. Togliamo questa ragione (eminentemente pratica) e tutto crolla. Infatti, sono certo che se le pugili Imane Khelif (accusata di essere un uomo) e Angela Carini lavorassero nella stessa azienda, nessun politico chiederebbe (perché contrattualmente, purtroppo, le cose stanno ancora così in molte professioni) per Khelif uno stipendio maggiore perché ha una coppia di cromosomi XY. Perché se lo facesse, arriveremmo al paradosso che, lei sarebbe un maschio per lo sport e una femmina per il lavoro.

UNA PROPOSTA DI SOLUZIONE PER GLI SPORT DI SQUADRA

In attesa di trovare delle soluzioni per gli sport individuali, qualcosa invece si potrebbe già fare, almeno per quelli collettivi. Unico settore dove ancora esiste una rigida divisione tra maschi e femmine (con tutti i controlli necessari per incasellare le persone in una delle due categorie) ormai scomparsa a scuola, nei collegi, nella polizia e perfino nell’esercito, un tempo autentica palestra machista. Perché mantenere questo apartheid sportivo, anziché dissolverlo in squadre miste e intersex?

 

 

NOTE

[1] Ad esempio i censimenti e le classificazioni anagrafiche sono nate per scopi pratici: il controllo sociale della popolazione, la quantificazione dei beni, il reclutamento di militari ecc. Infatti, le prime informazioni riguardo a indagini sulla popolazione risalgono addirittura al 3800 a.C. dove i Sumeri affrontavano vere e proprie indagini per misurare la quantità di uomini e beni di cui si poteva disporre. Le informazioni acquisite erano utili soprattutto in caso di guerra o di carestie. Nella Bibbia si fa riferimento al censimento effettuato da Mosè nel Sinai: il Signore parlò a Mosè, (…), e disse: ‹‹Fate il censimento di tutta la comunità degli Israeliti, secondo le loro famiglie, secondo il casato dei loro padri, contando i nomi di tutti i maschi, testa per testa, dall’età di venti anni in su, quanti in Israele possono andare in guerra (…)››. (Numeri 1, 1-3. Vedi anche Esodo 30,11-16): https://it.wikipedia.org/wiki/Censimento. Il controllo sociale è anche il principale motivo per cui è nata la statistica sociale.

Autore

  • Giampietro Gobo

    Professore ordinario di Sociologia delle Scienze e delle Tecnologie, presso il Dipartimento di Filosofia dell’Università degli Studi di Milano. Per molti anni si è occupato di epistemologia e metodologia della ricerca sociale. Attualmente si dedica allo studio dei “sensi sociali” e di controversie scientifiche nel campo della salute. Per le sue pubblicazioni cliccare il link qui sotto.