TO THE BODY AND BACK: L’INTELLIGENZA OLTRE I CONFINI DEL CRANIO
Nella lunga tradizione filosofica e psicologica, il termine intelligenza è stato senza dubbio uno dei costrutti più complessi e controversi della storia della scienza e del pensiero occidentale. Per molto tempo il dibattito sull’intelligenza si è snodato su vari terreni e argomenti teorici. Sin dai tempi più remoti l’essere umano ha tentato di definire limiti e condizioni di possibilità̀ di questo termine, identificando e strutturando tassonomie, relazioni e gerarchie intorno a questo concetto così controverso. La storia moderna dell’intelligenza si è sovrapposta per moltissimo tempo alla storia della sua misurazione, con particolare riferimento alla determinazione delle facoltà intellettive e dei tratti primari e secondari dell’intelligenza o al dibattito tra nature versus nurture, ovvero tra la determinazione ereditaria e genetica dell’intelligenza in contrapposizione all’acquisizione culturale dei tratti specifici di essa.
L’embodied cognition, ovvero la cognizione “incarnata”, è stata una delle correnti che ha contribuito a rivoluzionare il modo in cui consideriamo l’intelligenza e la cognizione non solo degli esseri umani, ma degli organismi e che suggerisce delle riflessioni interessanti anche rispetto alla definizione di Intelligenza Artificiale.
Essa è parte di un più ampio movimento teorico, la 4E Cognition, nato nella prima metà degli anni Novanta del Novecento all’interno di ambiti disciplinari come la filosofia della mente, la psicologia e le neuroscienze cognitive. Questo approccio teorizza una dimensione della mente embodied (incarnata), embedded (situata), enacted (interattiva) ed extended (estesa), radicandosi all’interno del Lieb, del corpo vivo e che esiste nel mondo, in costante relazione con l’ambiente; nel caso della nostra specie, un ambiente fisico, relazionale e tecnologico. La mente, dunque, emerge nel cervello ma si sviluppa anche al di fuori del cranio, attraverso la totalità corporea: l’individuo co-costruisce la propria esperienza cognitiva attraverso le interazioni corpo-mondo. Per l’embodied cognition l’attività cognitiva è un processo che integra l’esperienza vissuta e soggettiva, il corpo e l’ambiente, in un’unica prospettiva attiva e dinamica, dando vita al corpo-mente.
Il modello della mente “incarnata” caratterizza, dunque, le scienze cognitive di seconda generazione e ha consentito il superamento della dicotomia cartesiana tra res cogitans e res extensa, ovvero la separazione tra mente e corpo.
ERROR 404: LA MENTE NON È UN COMPUTER
Il modello dualista cartesiano aveva influenzato lo studio della mente per buona parte della storia della filosofia e della psicologia e, non ultimi, i fondamenti stessi della Scienza Cognitiva, all’interno della quale nasce anche l’Intelligenza Artificiale.
La Scienza Cognitiva Classica, infatti, ha sostenuto per molto tempo un approccio teorico di stampo meccanicistico, incentrato sulla funzione come oggetto di studio principale dei meccanismi mentali. In questo framework teorico è emersa una metafora molto potente: la metafora della mente-computer.
L’analogia della mente come una macchina era tale per cui un software (la mente) potesse essere implementato indipendentemente dall’hardware (il cervello e, in estensione, il corpo): essa sublima la frattura tra gli organismi e il proprio mondo, quello che Jakob von Uexküll definisce Umwelt (von Uexküll, 1933, Ambienti animali e ambienti umani. Una passeggiata in mondi sconosciuti e invisibili). Questo termine è stato introdotto all’inizio del Novecento dal biologo tedesco per indicare l’ambiente così come è percepito e vissuto dagli organismi in base alle proprie caratteristiche specie-specifiche e alle possibilità di interazione con esso[1].
Il ruolo del corpo, dunque, nella determinazione dei processi cognitivi assume una posizione subordinata tanto che, come provocatoriamente suggeriva il filosofo della mente Hilary Putnam nel celebre esperimento mentale del 1981, A brain in a vat[2], potrebbe essere fatto tanto di carne quanto di “formaggio svizzero”.
Le neuroscienze relazionali e affettive la filosofia della mente neuro biologicamente fondata convergono nella definizione di una nuova immagine di cosa vuol dire avere una mente e avere un corpo. Nella prospettiva della cognizione incarnata, si assume così un’estensione dei processi cognitivi, considerandoli non più limitati al cervello-mente ma estesi al cervello-corpo-ambiente, intendendo per ambiente non un mondo esterno, asettico e da costruire, ma un ambiente che è interno ed esterno allo stesso tempo, vivo, dinamico e “vischioso”, per utilizzare un termine di Canguilhem (1966, Le normal et le pathologique). Da questa visione emerge un approccio poliedrico alla mente, che integra il ruolo del corpo, del vissuto emotivo e soggettivo nell’ambiente in cui l’organismo si sviluppa.
Come ha scritto Francisco Varela: «Gli organismi non ricevono passivamente informazioni dai loro ambienti, che poi traducono in rappresentazioni interne. I sistemi cognitivi naturali […] partecipano alla generazione di significato […] impegnandosi in interazioni trasformazionali e non semplicemente informative: esse mettono in atto un mondo.»[3]
ORGANISMI IN (INTER)AZIONE
Nella prospettiva ecologica proposta dallo psicologo americano James J. Gibson (1979, The Ecological Approach to Visual Percepetion) non siamo noi a elaborare cognitivamente l’idea del mondo esterno; il soggetto assume una posizione centrale nel suo ambiente a partire dalla capacità di interagire con esso, sulla base di ciò che esso stesso offre in termini di stimoli.
L’ambiente, dunque, fornisce agli organismi gli elementi necessari per agire e sopravvivere (affordance), senza bisogno di complesse integrazioni o deduzioni mentali. Si pone quindi come elemento cruciale il rapporto tra gli organismi e il loro specifico ambiente di vita. Il mondo esterno, dunque, diventa “il mondo per me”: la mente e l’ambiente degli organismi sono inseparabili, in un costante processo di interazione e modellamento reciproco. Esso, allora, diviene lo “spazio di vita” di Kurt Lewin (1936, Principi di psicologia topologica), la nicchia ecologica di Gibson (1979) che ogni organismo ritaglia nel mondo, come suggerisce Benasayag (2016, Il cervello aumentato l’uomo diminuito). È lì che mondo interno e mondo esterno sono separati solo dalla pelle, che fa da ponte della relazione osmotica e interdipendente tra i due. L’ambiente non consente l’azione, esso è lo spazio di azione nel momento in cui un organismo lo esperisce e percepisce.
Non è la rappresentazione del mondo, ma la relazione che chiama il soggetto all’azione e alla costruzione di una realtà significante.
Non ci rappresentiamo, dunque, la realtà da un punto di vista esterno, ma la conosciamo interagendo con essa nel qui e ora fenomenico, sulla base delle caratteristiche specie specifiche e del vissuto individuale. E non ci contrapponiamo all’altro, ma ci riconosciamo nella simulazione incarnata e nel rispecchiamento empatico presente nelle nostre aree motorie. Il cervello umano, lungi dall’essere un meccanismo predefinito, è un organo poroso e plastico, che rimodula costantemente le proprie relazioni interne sulla base dell’esperienza con il mondo e del cablaggio specifico degli organismi.
Nel corpo, dunque, si sedimentano e stratificano le esperienze del proprio vissuto, le esperienze di un corpo capace di includere, di incorporare gli strumenti, i mezzi e di essere modificato dall’ambiente e di modificarlo costantemente in una transazione dinamica e in rapporto circolare, come suggerito dalle recenti ricerche condotte nell’ambito della Material Engagement Theory (Malafouris, 2018, Bringing things to mind. 4E’s and Material Engagement).
MACCHINE COME ME?
L’intelligenza, dunque, nella prospettiva dell’embodiement non è una proprietà isolata che emerge indipendentemente dal corpo e dal mondo, come aveva sostenuto la Scienza Cognitiva Classica, ma si co-costruisce attraverso la relazione tra mente, corpo e ambiente.
La possibilità di ampliare le nostre funzioni oltre i confini della pelle, che sia attraverso un foglio di carta, una calcolatrice o una macchina, può essere considerata un’estensione “artificiale” di funzioni naturali che co-evolvono e si modellano reciprocamente da un punto di vista biologico e culturale, rimodulando in modo strutturale la percezione del mondo, che è allo stesso tempo modificata dall’azione attraverso esso, come sostenuto anche dalla prospettiva della cognizione extended.
Oggi la cognizione embodied rivolge, dunque, la propria attenzione al ruolo del corpo e alle sue capacità sensoriali e motorie in quanto elementi cruciali nella formazione dei processi cognitivi. Ciò anche in base a evidenze neurobiologiche che dimostrano come la dimensione fisica, sociale e informativa dell’ambiente assumano una rilevanza imprescindibile nella trama dinamica intessuta dall’interazione degli agenti cognitivi col loro ambiente di vita, in una prospettiva filogenetica e ontogenetica.
Attraverso la lente teorica dell’embodied cognition e della prospettiva epigenetica, dunque, il termine intelligenza non si configura più come un concetto riducibile ad un elenco di funzioni “incapsulate” (Fodor, 1983, The Modularity of Mind: Essay on Faculty Psychology) all’interno della mente-computer, ma come il risultato di un insieme di componenti biologiche e culturali che caratterizzano ed evidenziano la singolarità e l’unicità nella vita degli organismi. La plasticità, intesa come struttura portante e condizione di possibilità del cervello di creare connessioni e circuiti modulati sulla base dell’esperienza e dell’interazione senso-motoria del corpo con l’ambiente, si configura come una forma di creatività, determinata dal connubio tra biologia e cultura, necessaria e fondamentale per l’emergere di un pensiero intelligente.
I sistemi artificiali attuali operano su correlazioni statistiche e schemi computazionali che, per quanto complessi, non emergono da un’interazione incarnata e soggettiva con il mondo. Più che un’“intelligenza” artificiale, dunque, potremmo parlare di una capacità computazionale estremamente avanzata, di una simulazione statistica della cognizione che, per quanto efficace nella risoluzione di determinati compiti, non condivide una forma intenzionalità, di sensibilità e di conoscenza incarnata che caratterizza gli organismi.
Tra le sfide future più avvincenti vi è sicuramente quella di ridefinire il nostro rapporto con l’Intelligenza Artificiale, evitando di proiettare su di essa categorie che appartengono al nostro modo biologico di essere-nel-mondo, comprendendo che essere una mente (e non possedere una mente), in senso proprio, è incarnato dall’esperienza di un corpo vivo che abita il mondo in relazione con altri corpi (Morabito, 2020, Neuroscienze cognitive: plasticità, variabilità, dimensione storica) in una danza continua con essi.
NOTE
[1] Von Uexküll ha rivoluzionato il concetto di ambiente nella biologia moderna, mettendo in discussione la visione antropocentrica di ambiente: ogni essere vivente, infatti, percepisce e interagisce con il mondo in modo soggettivo e specie specifico. Gli organismi co-costruiscono il proprio ambiente in base alle proprie caratteristiche morfologiche e fisiologiche, instaurando con esso un legame inscindibile. Il Merkwelt, infatti, rappresenta ciò che il soggetto percepisce, ossia il suo mondo sensoriale, mentre il Wirkwelt riguarda le sue azioni e interazioni. Insieme, questi due aspetti costituiscono un sistema complesso, l’Umwelt, che connota l’ambiente non più come uno spazio informazionale “passivo”, ma in costante relazione attiva con il vivente.
[2] Gilbert Harman è stato uno dei primi filosofi a sviluppare e formalizzare l’idea del “Cervello nella vasca” nell’ambito della filosofia della mente e dell’epistemologia. Sebbene l’esperimento mentale sia associato principalmente a Hilary Putnam, Harman, già negli anni ’70, aveva esplorato simili concetti, utilizzando la metafora del cervello nella vasca per affrontare le problematiche legate alla percezione e alla conoscenza. cfr. Harman G., 1973: Thought, Princeton University Press, Princeton.
[3] «Organisms do not passively receive information from their environments, which they then
translate into internal representations. Natural cognitive systems […] participate in the generation of meaning[…] engaging in transformational and not merely informational interactions: they enact a
world. » Varela, F., Rosch, E., Thompson, E., (1991), The Embodied Mind. Cognitive Science and Human Experience, MIT Press, Cambridge. (traduzione mia).
NOTE BIBLIOGRAFICHE
Benasayag, M. (2016) Il cervello aumentato l’uomo diminuito, Erickson
Canguilhem, G. (1966), Le normal et le pathologique, Paris: Presses Universitaires de France.
Fodor, J. (1983), The Modularity of Mind: Essay on Faculty Psychology, MIT press.
Gibson, J.J. (1979), The Ecological Approach to Visual Percepetion, Hougton Miffin, Boston.
Malafouris, L. (2018), “Bringing things to mind. 4E’s and Material Engagement” in Newen, A., De Bruin, L., Gallagher, S., The Oxford Handbook of 4E cognition.
Morabito, C., 2016, Neuroscienze cognitive: plasticità, variabilità, dimensione storica, in Mentecorpo: il cervello non è una macchina, «Scienza& Società» n.21/22.
Morabito, C. (2020), Il motore della mente. Il movimento nella storia delle scienze cognitive, Laterza-Bari.
Lewin, K. (1936), Principi di psicologia topologica, Edizioni OS, Firenze (ed.it.1961)
Noë A., (2010), Out of the head. Why you are not your brain, MIT Press, Cambridge MA, trad. it. Perchè non siamo il nostro cervello. Una teoria radicale della coscienza, Raffaello Cortina Editore, Milano
Varela, F., Rosch, E., Thompson, E., (1991), The Embodied Mind. Cognitive Science and Human Experience, MIT Press, Cambridge (Mass.).
von Uexküll, J. (1933), Umwelt und Innenwelt der Tiere, Berlin: Springer (trad. it. Ambienti animali e ambienti umani. Una passeggiata in mondi sconosciuti e invisibili, Macerata: Quodlibet, 2010).
Autore
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Laureata in Filosofia presso l’Università di Roma “La Sapienza” e in Scienze dell’Informazione presso l’Università di Roma “Tor Vergata” è parte del gruppo di ricerca PAD-Psicologia degli Ambienti Digitali. Si occupa di Filosofia della Mente e Nuove Scienze Cognitive, collabora come cultrice della materia presso le cattedre di Storia della psicologia, Psicologia generale e Scienze del comportamento presso l’Università di Roma “Tor Vergata”. Nel tempo libero beve caffè e si pone domande alle quali solo il suo gatto sa rispondere.