La vicenda di Indi Gregory si può esaminare da varie angolazioni.
Quella che mi interessa di più – a posteriori – non è nel focus principale del caso, ovvero se fosse giusto o meno staccare le macchine e a chi spettasse la decisione ultima.
Su questi punti è stato detto e scritto moltissimo nei giorni scorsi e possiamo trovare tutte le sfumature di opinioni che vanno da “vita a tutti i costi” fino a “staccare le macchine al più presto” [1].
Ognuno di noi avrà la sua posizione in proposito che deriva da sensibilità e background.
Si è parlato molto poco, invece, di come queste argomentazioni siano state presentate all’opinione pubblica e di come abbiano parlato gli “addetti ai lavori”.
Secondario? Non credo, perché nel modo di porre le questioni si gioca una partita di potere culturale.
Diciamo comunque che abbiamo assistito a polemiche feroci decisamente brutte. Decisamente brutte perché il rispetto per il dolore avrebbe suggerito toni diversi e una minor divisione in fazioni con sentori partitici.
Ma torniamo al punto che più mi interessa; mi è dispiaciuto vedere che tutta la vicenda è stata trattata con molta intransigenza da coloro che hanno sostenuto la decisione del tribunale inglese di staccare le macchine, come se una posizione che nasce dalla conoscenza scientifica e dal suo approdo legale, non potesse essere messa in discussione. Naturalmente sto generalizzando, ma chiunque abbia letto i giornali credo convenga con me che “la scienza” ha sdegnosamente rifiutato le ragioni del “sentimento”, forse anche ingenuo.
Abbiamo sentito e letto molte affermazioni tranchant da parte dei medici sull’inutilità e disumanità di prolungare una vita come quella di Indi.
Ma qui sorge una questione non da poco: se sei medico sicuramente valuti meglio la situazione di un paziente e le sue prospettive, ma questo ti dà realmente maggior voce in capitolo sulla decisione finale? Ovvero il tuo giudizio vale più di quello di un cittadino normale? Ovvero appartieni a una categoria eletta (insieme ai giudici) che da sola può stabilire il punto di non ritorno?
Sembrerebbe, in molti addetti ai lavori, che la decisione sia solo un saldo tra voci attive e voci passive. La riduzione in voci attive e passive di sentimenti, emozione, dolore, appare come qualcosa di assurdamente freddo.
Tutto il mondo che ha spinto per lo stacco immediato delle macchine mi è sembrato come arroccato su posizioni che non potevano essere messe in discussione per nessun motivo.
Posizioni col bollino della scientificità, quindi indiscutibili, e voi che scienziati non siete dovete stare zitti, tanto non capite.
Il refrain costante dei giorni che hanno preceduto il distacco delle macchine è stato “quella non è vita e va chiusa al più presto”, affermazione categorica senza possibilità di replica, e chi replicava veniva tacciato di visione oscurantista e reazionaria. Per contro, lasciando da parte gli ultras delle posizioni ultra cattoliche, non si può non notare la prudenza di un giornale come l’Avvenire, che notoriamente riflette le posizioni della CEI, e dello stesso Papa Francesco.
Dietro questa rigidità nel voler chiudere la questione Indi al più presto tacciando di ignoranza reazionaria idee diverse, vedo un brutto fantasma, la soddisfazione di sentirsi categoria eletta (da chi?) e quindi “migliore”.
C’è una grande differenza tra spiegare perché – forse – staccare le macchine sia la decisione migliore e l’atteggiamento di chi non ha voluto neppure prendere in considerazioni opzioni diverse.
E ancora, contesto i molti che hanno detto “con migliaia di bambini sani che muoiono in guerre di cui sono vittime sacrificali, occuparsi di Indi è una sorta di perdita di tempo”.
Non è vero. La tragedia dei bambini di Gaza e dei mille altri posti dove sono vittime, non sminuisce la questione Indi. La vicenda della bambina di Nottingham non interferisce con lo sdegno per le morti innocenti a Gaza; questa argomentazione sembra un pretesto per chiudere in fretta la questione senza rompiscatole che si fanno prendere da dubbi pietistici.
In definitiva, credo che se le ragioni della scienza non tengono conto anche delle ragioni del sentimento si sfocia nell’arroganza di chi si sente investito dalla ragione e sfugge al confronto. Insopportabile.
NOTE
[1] Ecco, in proposito, alcuni link a diverse posizioni:
https://www.avvenire.it/rubriche/pagine/indi-gregory-nella-scelta-tragica-i-veri-esclusi-sono-stati-i-genitori
https://www.quotidianosanita.it/cronache/articolo.php?articolo_id=118216
https://www.nicolaporro.it/indi-gregory-deve-morire-tre-motivi-per-cui-nicola-porro-sbaglia/
https://www.scienzainrete.it/articolo/caso-indi-qualche-domanda-riflettere/giovanni-boniolo/2023-11-12
https://www.ilprimatonazionale.it/approfondimenti/indi-gregory-la-disumanita-di-una-societa-che-tratta-la-vita-come-carta-straccia-271155/
https://www.repubblica.it/cronaca/2023/11/12/news/borgna_intervista_caso_indi_gregory-420134627/
https://www.imolaoggi.it/2023/11/14/remuzzi-per-indi-scelta-giusta/
Autore
-
Professionista della comunicazione, esperto di ricerche sociologiche e di mercato, scrittore, pubblicista. E’ sempre acuto e non ti fa passare nulla che non sia convincente.