Si sente spesso pronunciare l’espressione “valutazione oggettiva”. Essa viene commissionata e richiesta a studiose, consulenti e valutatrici. In realtà tale espressione è un ossimoro. Perché la valutazione è sempre soggettiva. Forse, il vero pericolo è che diventi soltanto arbitraria. Ma a questo ci sono rimedi.

Le esperte e studiose serie di valutazione (non le praticone) lo sanno bene. E da molto tempo, ormai.

Cito solo tre approcci di importanti autori e autrici, che fin dagli anni ’80 hanno tematizzato questo aspetto, in polemica con la valutazione di impianto positivista e sperimentale:

  • la valutazione realistica (Realistic Evaluation) di Ray Pawson e Nick Tilley
  • la valutazione guidata dalla teoria (Theory-Driven Evaluation) di Chen e Rossi
  • la valutazione basata sulla teoria (Theory Based Evaluation) di Carol Weiss

Il tratto comune a questi tre approcci è mostrare (e teorizzare) come la valutazione sia sempre guidata da una teoria sottostante, e quindi basata sia su assunti epistemologici ma anche di conoscenze di senso comune.

Vediamo un esempio illuminante che ci proviene dall’economia 

Il valore di una professione

La New economics foundation (Nef) è un istituto di ricerca, consulenza e idee innovative (think tank) composto da una cinquantina di economiste, famose per aver portato nell’agenda del G7 e G8 (a fine anni duemila) temi quali il debito internazionale.

Nel 2009 si proposero di condurre una ricerca sul valore delle professioni, che adottasse però una prospettiva diversa (da quelle tradizionali). Tale prospettiva aveva lo scopo di “collegare gli stipendi al contributo di benessere che un lavoro porta alla comunità”.

Come spiegarono nella stessa introduzione della ricerca, “abbiamo scelto un nuovo approccio per valutare il reale valore del lavoro. Siamo andati oltre la considerazione di quanto una professione viene valutata economicamente e abbiamo verificato quanto chi la esercita contribuisce al benessere della società. I principi di valutazione ai quali ci siamo ispirati quantificano il valore sociale, ambientale ed economico del lavoro svolto dalle diverse figure”.

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In altre parole, se si modificano i criteri teorici, culturali, ideologici (ma questa è una scelta, una decisione, un atto soggettivo), avremmo risultati di ricerca molto diversi.

Il Nef calcolò così il valore economico di sei diversi lavori, tre pagati molto bene e tre molto poco, introducendo nuovi criteri e abbandonando i vecchi (soggettivi anche loro, ovviamente).

Il risultato fu sorprendente e rovesciava le gerarchie tradizionali. 

Ad esempio, comparando un operatore ecologico e un fiscalista, il Nef concludeva che il primo contribuisce con il suo lavoro alla salute dell’ambiente grazie al riciclo delle immondizie, mentre il secondo danneggia la società perché studia in che modo far versare ai contribuenti meno tasse. Quindi il primo dovrebbe essere pagato molto di più e il secondo molto di meno (per usare un eufemismo).

Lo stesso vale, dicono al Nef, per i banchieri che prosciugano la società e causano danni all’economia globale.

In generale, esaminando “il contributo sociale del loro valore, abbiamo scoperto che i lavori pagati meno sono quelli più utili al benessere collettivo”.

Conclusione che certamente approverebbero i due uomini in giallo, ma anche Wim Wenders, visto che con il suo ultimo film Perfect Days (2023) fa un biopic di un addetto alle pulizie dei bagni pubblici di Shibuya (uno dei 23 quartieri speciali di Tokyo), quasi un eroe dei nostri tempi.

Le economiste del Nef sono molto chiare: “il nostro studio vuole sottolineare un punto fondamentale e cioè che dovrebbe esserci una corrispondenza diretta tra quanto siamo pagati e il valore che il nostro lavoro genera per la società. Abbiamo trovato un modo per calcolarlo e questo strumento dovrebbe essere usato per determinare i compensi”. 

Per cui, la valutazione è primariamente un problema teorico

Solo secondariamente diventa un problema tecnico. 

Proprio l’opposto di quello che molte scienziate ci dicono, e continueranno a (men)dire…

 

 

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

Chen H. T. (1990), Theory driven Evaluation, Thousand Oaks: Sage.

Chen H. T. e Rossi P. H. (1981), The multi-goal, theory-driven approach to evaluation. A model linking basic and applied social science, in “Social Forces”, 59, pp. 106-22.

Pawson R. e Tilley N. (1997), Realistic evaluation, London: Sage.

Weiss C. H. (1995), Nothing as Practical as Good Theory: Exploring Theory-Based Evaluation for Comprehensive Community Initiatives for Children and Families, in Connell J. P., Kubisch A. C., Schorr L. B. e Weiss C. H. (a cura di), New Approaches to Evaluating Community Initiatives. Vol. 1 Concepts, Methods, and Contexts, The Aspen Institute, Washington (DC), pp. 65-92.

Weiss C. H. (1997a), How can Theory-Based Evaluation make greater headway? in “Evaluation Review”, 4, pp. 501-524.

Weiss C. H. (1997ab), Theory-based evaluation: past, present, and future, in “New Directions for Evaluation”, 76, pp. 41-55, 

Weiss C. H. (1998), Evaluation. Methods for studying programs and policies, Upper Saddle River (NJ): Prentice Hall, 1998.

Autore

  • Giampietro Gobo

    Professore ordinario di Sociologia delle Scienze e delle Tecnologie, presso il Dipartimento di Filosofia dell’Università degli Studi di Milano. Per molti anni si è occupato di epistemologia e metodologia della ricerca sociale. Attualmente si dedica allo studio dei “sensi sociali” e di controversie scientifiche nel campo della salute. Per le sue pubblicazioni: https://scholar.google.com/citations?user=SRLrkG8AAAAJ&hl=it